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264 | capitolo ventinovesimo |
— Un figlio di Budda che ammazza gli adoratori del padre! Tutto sarebbe finito e la nostra santità, che per ora ci protegge, sfumerebbe subito. Non ischerziamo coi Tibetani, Rokoff. Se avessero il più piccolo sospetto che noi siamo degli europei, chissà quanti orribili tormenti ci farebbero soffrire. No, manteniamoci tranquilli, fingiamo di essere veramente figli del cielo e aspettiamo il ritorno del capitano.
— Che cosa potrà fare lui se i Lama ci tengono prigionieri?
— Dispone di mezzi potenti colla sua aria liquida, lo hai già veduto.
— E se fosse morto? —
Fedoro non osò rispondere.
Il drappello intanto continuava a costeggiare il lago, galoppando rapidamente. La via era orribile, cosparsa di macigni, di crepacci, di pezzi di valanghe e saliva sempre fiancheggiando talora degli abissi spaventevoli, in fondo ai quali muggivano o scrosciavano le onde del Tengri-Nor.
I cavalli però non si arrestavano un solo istante e superavano, con un’abilità e una sicurezza straordinaria, tutti quegli ostacoli. Non interrompevano la loro corsa nemmeno quando il sentiero diventava così stretto da permettere appena il passaggio a un solo cavaliere per volta.
Eppure il vento, in certi passaggi, soffiava con tale furore, che Fedoro e Rokoff temevano di venire strappati dalla sella e scaraventati in fondo a quei paurosi baratri.
Che magnifici cavalieri erano quei Tibetani! Saldi sulle loro selle, pareva che formassero un solo corpo coi loro destrieri e non esitavano mai, anche quando dovevano scendere entro profondi avvallamenti o dovevano saltare dei crepacci che mettevano le vertigini.
Quella corsa indiavolata fra abissi e burroni, fra i muggiti delle acque da un lato, i ruggiti del vento dall’altro, durò tre lunghe ore.
Cominciavano a diradarsi le tenebre, quando il capo della scorta mandò un grido stridente.
I cavalli s’arrestarono un momento, grondanti di sudore e di spuma, poi si cacciarono uno dietro l’altro su uno stretto ponte gettato sopra un profondo burrone.
Giunti dall’altra parte, agli occhi di Fedoro e di Rokoff apparve un enorme edificio che s’innalzava maestosamente su una vasta piattaforma scendente verso il Tengri-Nor.
— Dorkia, — disse il capo della scorta, accostandosi ai due europei. — Il Bogdo-Lama vi attende. —