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262 | capitolo ventinovesimo |
— E io sarei stato orgoglioso di ospitarvi nel mio monastero, — rispose il monaco, con un sospiro. — Avrei attirato, durante la buona stagione, migliaia e migliaia di pellegrini, colla vostra presenza. —
Accompagnò i due europei fino sulla porta del convento, sulla cui gradinata stavano schierati numerosi monaci, portando delle lanterne, poi baciò i lembi delle loro tonache, dicendo:
— Spero di rivedervi presto: che il grande Budda, vostro padre, vegli su di voi.
— Vi promettiamo di tornare, — rispose Fedoro. — Non dimenticatevi però di avvertire i nostri fratelli, se giungeranno, che siamo stati condotti a Dorkia.
— Saranno miei ospiti. —
La scorta mandata dal possente Lama del celebre monastero si componeva di cinquanta uomini d’aspetto brigantesco, con ampie vesti di grosso feltro, armati di lunghi moschettoni a miccia e di larghe scimitarre e montati su piccoli cavalli colle groppe villose e le gambe secche come quelle dei cervi o degli stambecchi, animali senza dubbio impareggiabili, che non dovevano temere nè gli aspri sentieri di quelle orribili montagne, nè i freddi intensi degli altipiani.
Due cavalli più robusti, col mantello bianco, con una lunga gualdrappa rossa che ricadeva fino a metà delle gambe e le criniere adorne di nastri, attendevano i due figli di Budda.
Il comandante della scorta, un montanaro d’aspetto imponente, con un barbone che gli saliva fino quasi agli occhi e che indossava il pittoresco costume dei Butani, si avanzò verso Fedoro e Rokoff, e dopo essersi inginocchiato tre volte dinanzi a loro, disse in cinese:
— Ricevete fin d’ora i saluti del possente Bogdo-Lama di Dorkia, il quale sarà altamente onorato d’ospitarvi. —
Poi li condusse verso i cavalli, invitandoli a salire.
I cavalieri intanto avevano acceso delle piccole lanterne cinesi appendendole alle canne dei loro moschettoni.
— Decisamente noi stiamo per diventare personaggi celesti, — disse Rokoff, accomodandosi sulla larga, ma anche molto dura sella del cavallo.
La scorta si era messa in moto: dieci cavalcavano dinanzi ai due europei; gli altri dietro su due file.
La notte era orribile, essendo l’uragano tutt’altro che cessato. Un vento impetuosissimo e così freddo da far tremare