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260 | capitolo ventinovesimo |
sfuggito agli sguardi. Rokoff facciamo un buon sonno e aspettiamo domani. Questo tepore invita a chiudere gli occhi.
— Seguo il tuo consiglio, — rispose il cosacco.
Si sdraiarono sui divani coprendosi con dei pesanti feltri e chiusero gli occhi, mentre gli ultimi tizzoni scoppiettavano nel caminetto.
Il loro sonno fu cortissimo. Un colpo di tam-tam che fece rintronare la sala, li fece balzare in piedi.
— Che sia già l’alba? — si chiese Rokoff, fregandosi gli occhi.
— No, la fiamma non si è ancora spenta, — disse Fedoro.
— Che cosa vogliono da noi? Ci hanno chiamato, è vero?
— Ci invitano ad aprire.
— Che sia giunto il capitano?
— Uhm! Non odi il vento ruggire al di fuori!
— Allora li mando a quel paese.
— No, non guastiamoci con questi monaci, Rokoff; non è prudente. —
Il cosacco allontanò il divano e aprì la porta.
I sei monaci, ancora gli stessi che li avevano trovati sulla spiaggia, entrarono prosternandosi dinanzi ai due europei, poi fecero segno a loro di seguirli.
— Cominciano a diventare noiosi coi loro inchini, — disse Rokoff. — Sarebbe stato meglio se ci avessero lasciato dormire fino a domani. Che cosa vogliono?
— Non ne so più di te, — rispose Fedoro. — Se ci pregano di seguirli, ci sarà qualche cosa di nuovo che ci riguarda.
— Che ci conducano ancora da quella mummia vivente?
— Lo vedremo, Rokoff. —
Seguirono i monaci che li attendevano nel corridoio e furono condotti nella sala dove vi era la statua di Budda. Il vecchio Lama li aspettava pregando dinanzi al Dio.
— Ci mancherebbe altro che ci facesse inginocchiare dinanzi a questo pezzo di terracotta, — disse Rokoff, che era diventato di pessimo umore. — Che questi monaci invece di dormire passino le notti pregando? —
Il Lama, vedendoli entrare, si era alzato, poi, dopo un inchino, disse a Fedoro:
— Preparatevi a partire.
— A partire! — esclamò il russo, sorpreso. — E per dove?
— Pel monastero di Dorkia.
— A che cosa fare?