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256 | capitolo ventinovesimo |
Il Lama li lasciò parlare, poi riprese:
— Non parla il cinese, il vostro compagno?
— No, — rispose Fedoro. — Egli non conosce che la lingua che si parla sulle montagne della luna, dove si trovano i Lama della Mongolìa, che si sono guadagnati il nirvana1.
— Desidera qualche cosa?
— Si lagna d’aver fame e freddo e di essere ancora bagnato.
— Potevate dirlo prima. Tutto ciò che si trova nel mio monastero è a disposizione dei figli prediletti del grande Budda. —
S’accostò a un piccolo tam-tam e fece vibrare due volte il disco metallico. Il monaco che aveva la collana entrò, inchinandosi fino a terra. Il Lama scambiò con lui alcune parole, poi si volse verso i due europei, dicendo:
— Seguitelo e avrete cena, fuoco e da dormire. Io intanto approfitterò del vostro riposo per avvertire del vostro arrivo il Bogdo Lama del monastero di Dorkia.
— Pare che non sia questo quello di Dorkia, — pensò Fedoro. — Purchè non ci invitino a recarci colà! Mi spiacerebbe che il capitano non ci trovasse più qui. —
S’inchinarono dinanzi alla statua di Budda e seguirono il monaco che aveva staccato dalla vôlta una lanterna. Al di fuori li attendevano gli altri cinque monaci, pure muniti di lampade.
Rifecero parte del corridoio, poi salirono una scala a chiocciola che doveva condurre ai piani superiori ed entrarono in un’altra stanza, più vasta di quella di prima, egualmente tappezzata e illuminata e fornita d’un caminetto dove ardeva un allegro fuoco.
Nel mezzo vi era una tavola, molto bassa, e all’intorno dei comodi divani.
I sei monaci, con cenni, invitarono i due europei a sedersi, poi uscirono per rientrare poco dopo portando dei vasi e dei tondi d’argento, finemente cesellati, e dei bricchi col collo assai lungo e molto artistici.
— Che ci sia da mangiare, lì dentro? — chiese Rokoff.
— Certo, — rispose Fedoro.
— Se questi monaci ci lasciassero ora soli! Non mi piace che vedano come mangiano i figli della luna o del cielo.
— Li pregherò di andarsene, quantunque non capiscano una parola di cinese.
- ↑ Paradiso.