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il lago santo dei buddisti 247


— Siamo salvi! — esclamò.

A cinquanta o sessanta passi si estendeva un breve tratto di costa, una specie di punta abbastanza bassa per potervi approdare senza fatica. Più oltre, invece, s’alzava una rupe gigantesca sulla quale Rokoff aveva scorto, alla luce dei lampi, quella massiccia costruzione che gli era sembrata un monastero o una fortezza.

Le onde, in causa d’una ripiegatura della costa e d’una scogliera altissima, non potevano giungere fino al luogo dove trovavasi il cosacco. Si frangevano con mille muggiti contro quegli ostacoli che non potevano rovesciare, provocando, in quella specie di baia o di cala, solamente una certa ondulazione.

Tenendo sempre alto Fedoro, il quale non dava ancor segno di tornare in sè, Rokoff attraversò velocemente l’ultimo tratto e raggiunse la spiaggia, arrestandosi sotto la gigantesca rupe che cadeva a piombo.

— Se vi fosse qualche rifugio, — mormorò, gettando un rapido sguardo verso la parete.

L’oscurità era però così fitta da non poter vedere a dieci passi di distanza, essendo ormai calata la notte e il cielo sempre coperto da quell’immensa nuvola nera che il vento non era ancora riuscito a disgregare e lacerare.

— Lo cercherò più tardi, — pensò. — Ora occupiamoci di Fedoro. —

Depose l’amico su uno strato di sabbia fine e lo spogliò della casacca e del panciotto, mettendogli una mano sul petto.

— Il cuore batte, — disse con voce giuliva. — Quale fortuna averlo trovato subito! Se le onde mi spingevano pochi passi lontano, era finita per questo povero Fedoro. —

Gli aprì la bocca, prese la lingua e si mise a tirarla con movimenti lenti e eguali per riattivare il funzionamento dei polmoni. Coll’altra mano intanto gli alzava ora l’uno ora l’altro braccio.

La pioggia cadeva a torrenti e il vento spazzava rabbiosamente la spiaggia, ma Rokoff non se ne preoccupava e continuava a operare quelle trazioni con delicatezza.

A un tratto un profondo sospiro sfuggì dalle labbra del russo.

— La respirazione è riattivata, — disse Rokoff, — tutto va bene.

Lasciò la lingua e si mise a strofinargli vigorosamente il petto con un pezzo di lana strappata dalla fodera della giubba.

Fedoro tornava rapidamente in sè, rigettando di quando