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244 | capitolo ventottesimo |
D’improvviso quelle luci si spensero, i tuoni cessarono bruscamente, i ruggiti del vento si quietarono.
Non si udiva altro che un continuo crepitìo, come se della grandine minuta percuotesse i fianchi del fuso. Una calma profonda era successa a tutto quel tramestìo.
Lo Sparviero aveva cessato di roteare e s’abbassava lentamente verso il lago, sempre avvolto fra una fitta nebbia che impediva di vedere a due o tre passi di distanza.
— Signore, cadiamo, — disse Fedoro, slanciandosi verso il capitano.
— Ho fermato le ali e le eliche, — rispose questi.
— Il lago sta sotto di noi. Non udite le onde a muggire?
— A suo tempo arresteremo la discesa. Cerchiamo per ora di uscire da queste nubi o verremo tutti fulminati. Non spaventatevi, signor Fedoro, e nemmeno voi, signor Rokoff. Credo che il momento più terribile sia passato.
— Ma questa calma? — chiese Rokoff.
— Scendiamo nel centro della tromba. Ecco il vento che riprende il suo movimento circolare; tentiamo di spezzare le sue spire. Macchinista! A tutta velocità! —
I ruggiti del vento ricominciavano e lo Sparviero tornava a roteare su sè stesso. Le ali ben presto si rimisero a battere a colpi vigorosi, precipitati e il fuso, forando, con uno slancio irresistibile la colonna d’aria, sfuggì alla stretta della formidabile tromba.
Ma anche fuori da quella meteora, l’uragano imperversava con furia incredibile. Lo Sparviero, dopo qualche istante, veniva trascinato verso settentrione, senza essere più capace di tenere testa alle raffiche. Correva all’impazzata, travolto, sbattuto in tutti i sensi, ora salendo e ora abbassandosi fino quasi a sfiorare i cavalloni del lago.
Vibravano le ali, incurvavansi i piani, fremevano i fianchi del fuso. Certi momenti pareva che fosse lì lì per rovesciarsi e precipitare fra le acque spumeggianti gli aeronauti.
Quanto durò quella corsa? Venti minuti o un’ora?
Nessuno sarebbe stato capace di dirlo.
Delle grida strapparono Rokoff dal suo sbalordimento.
Guardò giù. Un promontorio si prolungava sul lago e su un’alta rupe scorse, alla luce dei lampi, un vasto edificio a tetti arcuati. Su una specie di terrazzo, degli esseri umani si dimenavano, alzando le braccia verso lo Sparviero, che l’uragano trascinava in una corsa vertiginosa.