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22 | capitolo terzo |
segrete, sono ugualmente affiliati a qualche hoè. Per noi è una necessità e anche un’abitudine prepotente ed io ho fatto come gli altri e come avevano fatto prima i miei avi.
Disgraziatamente una sera, dopo un’orgia e dopo aver fumato parecchie pipate d’oppio, preso chissà da quale strano capriccio, mi sono lasciato sfuggire dei segreti che riguardavano la hoè alla quale sono iscritto.
Il governo imperiale non ha osato colpire me, ma ha proceduto senz’altro, con rigore feroce, contro la mia società, torturando e dannando alle galere quanti membri aveva potuto acciuffare.
Sono stato un miserabile, ed ora toccherà a me pagare il fallo commesso, colla perdita della vita. Sia maledetto l’oppio che mi ha fatto perdere la ragione.
— È potente questa società della Campana d’argento? — chiese Fedoro, assai preoccupato da quella confessione.
— Ha migliaia e migliaia di membri, dispersi in tutti gli angoli di Pekino, perfino entro la città interdetta1.
— E hanno saputo che siete stato voi a tradirla?
— Pur troppo, — rispose il cinese.
— E vi hanno condannato? — chiese Rokoff.
— Quindici giorni or sono ho trovato sotto il mio capezzale una carta con il sigillo della società, una campana con due pugnali intrecciati sopra e sotto. Mi si avvertiva che entro due settimane, la mano vendicatrice della hoè, mi avrebbe inesorabilmente colpito.
— Chi aveva messo quella carta? — chiese Fedoro.
— Lo ignoro, ma certo qualcuno dei miei servi.
— Ve ne sono alcuni affiliati alla Campana d’argento?
— Sarebbe impossibile saperlo. I membri non si conoscono l’un l’altro ed i soli capi tengono l’elenco dei soci.
— Sicchè non siete sicuro dei vostri servi.
— Anzi io li temo, e da quando ho ricevuto quella carta, più nessuno l’ho fatto entrare qui, per paura d’un tradimento.
— Ignorano il segreto della porta? — chiese Rokoff.
— Lo spero, — rispose Sing-Sing.
— Quanti giorni sono trascorsi?
— Quattordici.
— E questa notte voi dovreste morire — chiese Fedoro.
- ↑ La città imperiale.