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240 | capitolo ventottesimo |
— Vi passeremo sopra?
— Che cosa possiamo temere? Ci terremo a una altezza tale da non lasciarci raggiungere dalle palle. —
La borgata ingrandiva a vista d’occhio.
Sorgeva proprio sull’estremo margine dell’altipiano, il quale cadeva a piombo sul lago da un’altezza considerevole.
La popolazione doveva già aver notato quel mostro che s’avanzava verso il bacino sacro. Si vedevano numerosi cavalieri galoppare in tutte le direzioni e armati di fucili.
Essendo i Tibetani tutti appassionati cacciatori, dai più poveri ai più ricchi, si preparavano ad affrontare coraggiosamente quella gigantesca aquila.
— Brutta accoglienza, — disse Rokoff. — Anche questi abitanti scambiano lo Sparviero per un mostro; io invece che credevo che ci prendessero per figli della luna o del sole o per lo meno di Budda!
— Lasciamoli fare, — rispose il capitano. — I loro moschettoni a miccia non ci causeranno alcun danno e poi siamo già a quattrocento metri dalla superficie della terra.
Più di duecento cavalieri, che montavano dei piccoli cavallucci rachitici, galoppavano intorno allo Sparviero agitando le armi e urlando.
Quando però furono sotto, con gran stupore di Rokoff, tutti quei Tibetani, invece di far fuoco, si gettarono precipitosamente giù dai cavalli e caddero in ginocchio, battendo la fronte sul suolo e mandando grida che nulla avevano d’ostile.
— Che siano mezzi morti di paura? — chiese il cosacco.
— Non lo credo, essendo i Tibetani coraggiosi — rispose il capitano.
— E perchè hanno rinunciato a combatterci?
— Se voi foste un selvaggio, o poco meno, non rimarreste sorpreso, vedendo degli uomini montare un’aquila?
— È probabile, capitano.
— Quei Tibetani ci hanno scorto e ci avranno preso per divinità o per qualche cosa di simile. Superstiziosi come sono, non ci sarebbe da stupirsi.
— Che ci credano figli di Budda?
— È probabile, signor Rokoff.
— Se provassimo a scendere? Non mi rincrescerebbe rappresentare, almeno per dodici ore, la parte d’una divinità.
— Preferisco lasciarla al loro Budda vivente e andarmene verso il lago. Potrebbero crederci realmente figli del