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210 capitolo venticinquesimo


— Arrestate la macchina! — gridò.

— Si rovescerà lo Sparviero? — chiesero a una voce Rokoff e Fedoro.

— No, non c’è pericolo, — rispose il capitano. — Lasciamoci portare dal vento.

— Dove cadremo? — chiese Rokoff.

— Non lo so, vedremo poi. —

Lo Sparviero cadeva, ma lentamente, essendo sempre sorretto dai piani orizzontali e dalle eliche, le quali funzionavano ancora.

Il vento lo spingeva verso ponente, facendogli descrivere degli zig-zag che impressionavano il russo e il cosacco, i quali temevano sempre che venisse trascinato contro qualche picco e fracassato.

Il capitano, curvo sulla balaustrata di prora, cercava di discernere la terra che la nebbia e la neve turbinante gli nascondevano.

Dove cadeva lo Sparviero? Sull’altipiano, sulla cima di qualche rupe o in fondo a qualche spaventevole abisso?

— Non vedete nulla? — chiese Rokoff, che si teneva da un lato onde il fuso non si squilibrasse.

— Nulla, ma la terra non deve essere lontana.

— Il vento ci porta e minaccia di travolgerci. Toccheremo rudemente.

— Tenetevi saldi; possiamo venire rovesciati.

— Maledetta nebbia!

— Macchinista!

— Signore!

— Ferma anche le eliche.

— Capitano! — esclamò a un tratto Fedoro. — Il vento è improvvisamente cessato.

— Me ne sono accorto.

— Dove siamo dunque noi?

— Suppongo che scendiamo in un abisso. Non udite dell’acqua scrosciare? Pare che qualche cascata ci sia vicina.

— Sì, l’odo anch’io, — disse Rokoff.

— E a me pare d’aver veduto un’enorme muraglia fra uno squarcio della nebbia, — disse Fedoro.

— Dobbiamo scendere in qualche abisso, — rispose il capitano. — Diversamente il vento continuerebbe a soffiare. Preparatevi a saltare a terra appena toccheremo. —

Lo Sparviero continuava la sua discesa, lentamente, senza scosse, come un aquilone che viene tirato al suolo. Il vento non ruggiva più attorno ad esso, anzi regnava una certa calma.