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200 | capitolo ventiquattresimo |
altezza di cinquemila metri sul livello del mare, per poter raggiungere il margine dell’immenso altipiano e non bastava ancora perchè più al sud si vedevano delinearsi catene di montagne ben più alte, che formavano una barriera gigantesca.
Il panorama che s’offriva agli sguardi degli aeronauti era d’una bellezza selvaggia e insieme spaventevole.
Pareva che da un momento all’altro fossero piombati sulle sterminate pianure della Groenlandia o fra le orribili montagne dell’Islanda.
Era un caos di pianure che s’alzavano in forma di gradinate mostruose, intersecate da abissi, da spaccature, da gole o da piramidi colossali che pareva dovessero toccare il cielo.
Tutto era bianco per la neve caduta, d’un candore immacolato, che feriva crudelmente gli occhi i quali non potevano sopportare tutto quello splendore.
Qua e là dei ghiacciai giganteschi, scintillavano come diamanti di dimensioni esagerate, rovesciando lentamente i loro fiumi di ghiaccio nei profondi burroni dove si scioglievano a poco a poco, alimentando torrenti che più tardi dovevano tramutarsi in corsi d’acqua d’una mole e d’una lunghezza infinita e riversarsi verso l’India, verso la Mongolìa, verso il Turkestan e nelle fertili vallate dell’impero cinese.
Un vento freddissimo, che faceva vibrare le ali dello Sparviero e che fischiava e ruggiva fra i piani inclinati, soffiava tratto tratto, imprimendo all’aero-treno delle brusche scosse. Era così secco che le carni degli aeronauti si raggrinzivano e che le labbra si screpolavano.
Quando le raffiche diventavano più impetuose, sollevavano gli strati nevosi, scombussolandoli, alzandoli ed abbattendoli, facendoli turbinare in mille guise e formando talvolta delle vere trombe di neve che raggiungevano anche lo Sparviero, facendolo roteare su sè stesso, non ostante le battute precipitose delle ali.
Poi d’un tratto i fischi ed i muggiti cessavano, le nevi ricadevano, il silenzio tornava sull’immenso altipiano, un silenzio pauroso che produceva una profonda impressione sugli animi degli aeronauti, come se fosse foriero di qualche improvvisa catastrofe.
D’un tratto sordi fragori si propagavano nelle vallate e negli abissi, fragori che aumentavano rapidamente d’intensità. Erano valanghe che si staccavano dalle cime dei picchi, che rotolavano di scaglione in scaglione per poi inabissarsi, con orrendo frastuono, nelle profonde spaccature che s’aprivano in tutte le direzioni.