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198 capitolo ventiquattresimo

venerati: l’elefante, la vacca, il leone e il cavallo, simbolo dei quattro corsi d’acqua reputati sacri.

Il cosacco, il russo e anche il capitano, nel vedere stendersi dinanzi a loro quella misteriosa regione e quegli altipiani che pareva non avessero più fine, avevano provato una viva commozione.

— Non so se sia quest’aria fredda o lo squallore di questo deserto, mi sento scombussolato, — aveva detto Rokoff. — Che sia la rarefazione dell’aria?

— Può essere, — aveva risposto il capitano. — Noi ci troviamo già a quattro mila metri sul livello del mare e continuiamo ad innalzarci. Non sarei sorpreso, se procedendo, vi cogliessero delle nausee.

— Che paese orribile! Non si vedono che montagne, neve e ghiacciai: burroni e gole e abissi che sembrano senza fondo. Budda non doveva trovarsi troppo bene in questi luoghi e doveva rimpiangere sovente la dolce temperatura della sua verdeggiante Ceylan.

— E gli abitanti, dove sono? Non vedo una capanna, nè una tenda in alcun luogo.

— Non ne vedremo tanto presto, signor Rokoff. Chi potrebbe vivere in questo orribile deserto? Solamente nel cuore dell’estate, delle bande di briganti si radunano nelle gole in attesa del passaggio dei pellegrini mongoli che si recano a visitare i monasteri del lago Tengri-Nor per gettare in quelle acque, ritenute sacre, le ceneri dei loro più celebri capi.

— Perchè vadano più presto nel nirvana di Budda? — chiese Fedoro.

— Tale è la loro credenza, — rispose il capitano.

— Gl’indiani le gettano nel Gange ed i tibetani nel Tengri-Nor.

— Sì, signor Fedoro. Qui d’altronde la religione di Brahma e di Budda si fondono, perchè anche gl’indiani intraprendono dei lunghi pellegrinaggi nel Tibet essendovi qui il loro monte sacro, il Merù dei loro antichi, che riguardano come il pistillo del simbolico fiore del loto che per loro rappresenta il mondo.

— Ma cos’è quel cono immenso che si rizza laggiù tutto bianco e coi fianchi coperti di ghiacciai? — chiese Rokoff, additando un’immensa piramide che spiccava vivamente sul purissimo orizzonte.

— Il Kremli, un masso di seimila metri d’altezza che serve per le sepolture celesti, — rispose il capitano.