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196 capitolo ventitreesimo

rantina di brutti avvoltoi, col collo spellato e rognoso, le penne oscure ed arruffate, stavano dilaniandolo con ingordigia feroce; ci vollero molte sassate prima di deciderli ad abbandonare l’enorme preda che avevano già intaccata in più parti, aprendo dei buchi considerevoli.

Vi era però ancora tanta carne, da assicurare i viveri per un mese intero ai cinque aeronauti.

Nelle continue cadute l’animale era stato ridotto in deplorevoli condizioni. Gambe e costole erano state fracassate e la carne in più luoghi sbrindellata.

— Sarà più frolla, — disse Rokoff.

Lo Sparviero giungeva volando a pochi metri dal suolo. Si posò a cinquanta passi dalla riva ed il macchinista, e l’uomo silenzioso scesero armati di scuri.

Due ore dopo lo jack, ridotto a pezzi, gelava nella ghiacciaia dello Sparviero.


CAPITOLO XXIV.

Sugli altipiani del Tibet.

Trentasei ore dopo lo Sparviero, superato l’ultimo tratto dello Sciamo meridionale e attraversata l’imponente catena degli Aliyn-tag, entrava nel Tibet per un passo del Tokus-deban-geb, librandosi su quegli sterminati e spaventevoli altipiani, sferzati dai gelidi venti del settentrione.

Misterioso paese il Tibet, noto da moltissimi secoli eppur chiuso anche oggidì agli europei, di cui ben pochi, e sfidando ad ogni passo la morte, vi poterono penetrare per studiare la religione dei potentissimi Lama e dei Budda viventi.

Questa immensa regione che occupa il centro dell’Asia, chiusa fra aspre montagne quasi prive di passaggi e altipiani deserti dove gli uomini a malapena possono vivere, e che al nord confina colla Mongolìa, al sud colla enorme catena dell’Imalaia, all’est colla Cina e coll’alta Birmania e all’ovest col Pamir e col Turkestan, è il più orribile paese che immaginare si possa.

Non è che una serie d’altipiani, per la maggior parte dell’anno coperti di neve e spazzati da venti che screpolano la pelle degli abitanti, e d’un’aridità spaventosa; di monta-