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194 capitolo ventitreesimo

dello Sparviero. — Poco piacevole questa discesa, è vero, signor Fedoro?

— Stavo per lasciarmi cadere, — rispose il russo, afferrandosi, coll’energia che infonde la disperazione, ad alcune radici che uscivano da un crepaccio della parete.

— Vi sareste sfracellato. E Rokoff?

— Sta per scendere.

— Aspettiamolo, poi andremo a visitare quella gola. —

Il cosacco non si fece aspettare molto. Quel diavolo d’uomo non aveva provato alcuna vertigine, nè un momento di debolezza. Pure non sembrava troppo contento.

— Per le steppe del Don! — esclamò, appena mise i piedi sulla piattaforma. — Quasi avrei preferito fare un altro salto nell’abisso. All’inferno gli jacks e anche le cascate! Possiamo almeno uscire?

— Ora lo sapremo, — rispose il capitano.

Saltarono su un’altra piattaforma che si trovava un metro più sotto e scesero nel burrone che era molto più ampio del primo e del pari attraversato in tutta la sua lunghezza dal torrente, il quale si precipitava, con un altro salto, entro un bacino profondo che sboccava in una stretta valle.

— Vedete lo jack in qualche luogo? — chiese Rokoff.

— No, — rispose il capitano. — La corrente l’ha portato via.

— In quale stato giungerà abbasso con tutte queste cascate? Lo troveremo a pezzi.

— Abbiamo l’altro sull’altipiano, — rispose il capitano. — Ecco la gola! —

Attraversato il burrone giunsero dinanzi ad uno stretto passaggio aperto fra due rupi enormi che s’alzavano fino al piccolo altipiano e così lisce da rendere impossibile una scalata.

Il capitano ed i suoi compagni si cacciarono nella gola che descriveva delle curve e dopo dieci minuti giungevano in una valletta la quale scendeva ripidissima fino al deserto.

— Urrah! — gridò Rokoff. — Ecco laggiù lo Sparviero! Siamo salvi!

Infatti, adagiata sulle sabbie, si scorgeva la macchina volante, colle sue immense ali distese. Una macchietta nera si muoveva sulla sabbia, ora accostandosi e ora allontanandosi dal fuso.

— Un nostro compagno che veglia, — disse il capitano. — Scendiamo amici.