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prigionieri nell’abisso 191


— Abbiamo l’altro lassù.

— Andatelo a prendere.

— Non ho alcun desiderio di lasciarlo tutto alle aquile.

— Volete ritornare sull’altipiano?

— Ci saremo costretti per rinnovare le nostre provviste. Torneremo col macchinista e col mio amico e anche con una bomba ad aria liquida per far saltare in aria gli jacks, se li troveremo ancora.

— Un’idea, capitano.

— Dite, signor Rokoff.

— Dove credete che metta questo torrentaccio o fiume che sia?

— Certamente in qualche bacino o laghetto. Non dobbiamo essere lontani dal Tustik-Dung e dal Lob-nor.

— Se gettassimo questo animale nella corrente?

— Per riprenderlo abbasso?

— Sì, capitano.

— La vostra idea non mi sembra cattiva, anzi. Gli è che da solo non potrete muovere una tale massa, quantunque siate d’una robustezza eccezionale.

— Passate il torrente e venite ad aiutarmi.

— Ah! Rokoff! — esclamò Fedoro. — Tu giochi d’astuzia per non fare il terzo bagno. Io però sono pronto a tentare la prova.

— Se non sai nuotare!

— Hai la corda.

— Che noi terremo tesa, signor Rokoff, — disse il capitano. — In quanto a me, non ne avrò bisogno.

— No, — disse il cosacco, con tono risoluto. — Esporre Fedoro ad un simile pericolo mai; d’altronde possiamo spingere egualmente lo jack nel torrente. La corda è solidissima e non si spezzerà! Ora vedrete. —

Legò le due gambe anteriori dell’animale, esaminò tutti i nodi per accertarsi se erano bene stretti, poi gettò l’altro capo della corda ai compagni, dicendo:

— Tirate, mentre io spingo. Vi dico che riusciremo. —

Doveva possedere una forza più che erculea quel cosacco perchè spingendo ora da una parte ed ora dall’altra, riuscì a smuovere l’enorme massa la quale, trovandosi su un pendio ed a soli pochi passi dalla riva, in causa anche delle frequenti scosse del capitano e di Fedoro, finì per rotolare nel fiume.