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prigionieri nell’abisso 189


— Sì, mi è venuta un’idea.

— Quale?

— Di tentare la discesa della cateratta.

— E calarsi nell’altro abisso?

— Sì, Rokoff.

— Se fosse chiuso anche quello?

— Ho veduto una gola e suppongo che metterà in qualche burrone.

— E come faremo a calarci? Non abbiamo corde.

— Sì, le nostre fasce di lana, — disse Fedoro.

— Non basterebbero — rispose il cosacco. — La cascata ha un salto di venticinque o trenta metri.

— Le corde ce le darà lo jack, — disse il capitano.

— Tagliando a liste la sua pelle?

— Sì, Rokoff.

— Sono deciso.

— A che cosa fare?

— A riattraversare il torrente. Datemi il vostro acciarino onde accenda un fuoco sull’altra riva per riscaldarmi e asciugarmi.

— Rimanete qui; andrò io.

— No, capitano. I cosacchi hanno la pelle più dura degli uomini d’altre razze. —

Fece un pacco delle sue vesti che erano quasi asciutte e si diresse risolutamente verso il torrentaccio, stringendosi ai fianchi la fascia di lana per passarvi il bowie-knife.

Il capitano si era alzato per trattenerlo, ma già il cosacco, con un magnifico salto di testa, si era slanciato fra le gelide acque.

— Che uomo! — esclamò il capitano. — Forte come un toro e temprato meglio dell’acciaio di Toledo. —

Rokoff era subito rimontato a galla, nuotando precipitosamente.

Il torrente in quel luogo era largo cinque o sei metri e le sue acque scorrevano rapidissime, frangendosi con mille fragori contro le rocce delle rive. Il cosacco però, abituato ad attraversare i larghi fiumi del suo paese, nuotava con vigoria, tagliando la corrente diagonalmente.

— È fredda l’acqua, signor Rokoff? — chiese il capitano.

— Mi pare che lo sia meno di prima, nondimeno mi sento gelare perfino il cuore.

— Accendete il fuoco, prima di tutto. Vedo che anche sull’altra riva i licheni e gli sterpi abbondano. —