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la principessa di turfan 177

di loro, aiutato da buon nerbo di cavalleria tartara e ne fece un orribile macello. Essendo alcuni riusciti a fuggire e riparare entro la miniera, i tartari turarono tutte le uscite e poi li affumicarono. Per alcuni giorni si udirono le urla e i gemiti di quei disgraziati, che erano racchiusi in parecchie migliaia, poi a poco a poco si spensero, finchè il silenzio regnò assoluto.

— L’oro non aveva portato fortuna a quei minatori.

— Nemmeno ai pochi che erano caduti vivi nelle mani dei vincitori; furono fatti tutti acciecare per ordine del re. E ora, se volete, signor Rokoff, andate a lavorare le ricche miniere dell’impero cinese. Per parte mia vi rinuncio, preferendo conservare i miei occhi e anche la testa. —


CAPITOLO XXII.

La caccia agli “jacks„.

Di miglio in miglio che lo Sparviero si spingeva verso il sud, il deserto accennava a cambiare. La monotonia desolante di quelle sabbie che scintillavano per le masse di sale che contenevano, veniva rotta da qualche altura, da qualche gruppo enorme di rocce per lo più nere o da qualche minuscola oasi dove si vedevano saltellare in gran numero montoni selvatici, dei grandi cervi chiamati mara dai mongoli, dei caprioli dalle forme sottili ed eleganti e dei capretti muschiati, assai ricercati dai cacciatori, possedendo una specie di borsa contenente un liquido assai odoroso, simile a quello che danno gli zibetti dell’Africa.

Quelle oasi erano però piccole, e lo Sparviero in pochi minuti le attraversava per rientrare subito nel deserto.

Quando poi la sua ombra immensa si proiettava fra quelle magre piante, era una fuga generale di tutti gli animali. Antilopi, cervi, capretti si precipitavano all’impazzata in tutte le direzioni, fuggendo con fantastica rapidità, seguiti anche dai grossi avvoltoi dal collo spellato e schifoso e dalle arpie, specie d’aquile rapacissime, che fanno delle vere stragi fra i piccoli abitanti dello Sciamo.

Verso il tramonto, quando lo Sparviero, che non si era arrestato un solo istante, aveva già attraversato almeno un terzo del deserto, il capitano mostrò a Fedoro e a Rokoff una catena di altissime rocce, sulle quali si vedevano inerpicarsi degli animali assai villosi, che rassomigliavano un po’ ai buoi.