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152 capitolo diciannovesimo

capitano, il quale aveva raggiunto Fedoro e Rokoff che stavano a prora, osservando l’imponente panorama che si svolgeva sotto i loro sguardi. Fra tre giorni noi ci libreremo sugli altipiani del Tibet.

— Ci avanziamo con una velocità straordinaria, — disse Fedoro.

— Percorriamo cinquanta miglia all’ora, signori miei, abbiamo il vento favorevole.

— Quasi come gli uccelli, — disse Rokoff.

— Oh no! Guardate come corrono quelle aquile che pare abbiano intenzione di venirci a fare una visita.

— Delle aquile! esclamò Rokoff.

— Non le vedete? Vengono dai Tian-Scian ed ingrandiscono a vista d’occhio, — disse il capitano.

— Non danneggeranno le nostre ali!

— Lo cercheranno. Quei volatili sono coraggiosi.

— E non le respingeremo noi?

— Ho già dato ordine al macchinista di portare in coperta dei buoni fucili da caccia. Non c’è da fidarsi di quei rapaci e stizzosi volatili.

— Che credono il vostro trenoaereo un uccellaccio?

— È probabile, signor Rokoff. L’hanno proprio con noi. —

Una schiera di volatili, che avevano delle ali gigantesche, scendeva, con velocità fulminea, gli ultimi scaglioni del Tian-Scian, movendo verso lo Sparviero.

Erano dieci o dodici, tutte di dimensioni poco comuni, essendo le aquile della Mongolìa molto più grosse di quelle che vivono sulle montagne dell’Europa. Non uguagliano ancora i maestosi condor delle Ande Americane, che sono i più giganteschi della famiglia, nondimeno raggiungono uno sviluppo straordinario.

S’avanzavano su doppia fila, gridando a piena gola, colle penne arruffate, di lunghi e robusti becchi adunchi aperti, pronti a lacerare.

Volavano con tale velocità, che in meno d’un quarto d’ora si libravano sopra lo Sparviero, sbattendo vivamente le loro immense ali.

— Sono furiose, — disse Rokoff, prendendo un fucile da caccia, di fabbrica americana, a due canne, che gli porgeva il macchinista.

— Attenti alle ali del nostro Sparviero, — disse il capitano.