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i misteri del capitano | 149 |
— Il mio dispaccio spedito! — esclamò Fedoro. — E da quale ufficio telegrafico?
— Da uno che ho potuto raggiungere, — rispose il capitano, che pareva si divertisse dello stupore del suo ospite.
— Se siamo nel deserto!
— Costui deve essere il diavolo, — pensava intanto Rokoff, guardandolo sospettosamente.
— Il deserto! — disse il capitano. — Qui, sotto di noi, vi è infatti lo Sciamo; più lontano vi sono anche delle città che in poche ore possono metterci in comunicazione coll’Europa. Vi rincresce?
— Tutt’altro, signore. E che cosa avete telegrafato alla mia casa?
— Che voi, per circostanze inaspettate, non avete potuto fare i vostri acquisti e che l’imperatore di Cina vi rimanda in Europa attraversando l’Asia, sotto pena di farvi decapitare.
— Su una macchina volante?
— Questo lo direte voi, quando giungerete a Odessa.
— E da dove avete spedito il dispaccio?
— Che v’importa di saperlo?
— Capitano, vi ringrazio della vostra gentilezza.
— Bah! Una cosa facile! Non ho impiegato che due minuti! A voi la ricevuta e buona notte, signori. Spero domani di farvi vedere la Mongolia meridionale. —
Ciò detto il capitano era sceso nella sua cabina, dove già lo aveva preceduto lo sconosciuto.
Rokoff e Fedoro non trovarono di meglio che d’imitarlo, premurosi di trovarsi soli per poter parlare liberamente.
— Finalmente! — esclamò Rokoff, quando si trovò nella sua cabina che era la più lontana da quella occupata dal capitano. — Potremo parlare senza testimoni. Che cosa ne dici tu di quell’uomo? Da dove viene? O meglio, da dove è caduto costui? È un mistero che sarei ben lieto di poter chiarire.
— Che rimarrà, almeno per noi, sempre un mistero, — rispose Fedoro.
— Chi credi che sia? Un abitante di questo deserto?
— Lui! È un uomo di razza bianca come noi, mio caro Rokoff. Ha tutti i tratti dei caucasi e nulla affatto dei mongoli. Mi è anzi venuto un sospetto.
— E quale?
— Che possa essere invece un russo.