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146 capitolo diciannovesimo

oltre sessant’anni, dalle spalle un po’ curve, col viso molto abbronzato e anche assai patito, con una lunga barba brizzolata ed incolta che gli giungeva fino a mezzo petto.

Aveva gli occhi grigiastri, che teneva semi-socchiusi come se non potessero affrontare la luce intensa del sole e attraverso il viso una lunga cicatrice che pareva prodotta da un tremendo colpo di sciabola o di scure.

Era ancora vegeto, nonostante l’età, con membra vigorose, petto ampio e spalle da ercole, un uomo insomma che poteva, per sviluppo e forza, stare a pari con Rokoff.

Fedoro ed il cosacco, scorgendolo, si erano arrestati, guardandosi l’un l’altro, poi fissando il comandante dello Sparviero il quale stava offrendo a quello sconosciuto, con una certa deferenza, un sigaro di Manilla.

— Un altro uomo! — aveva esclamato il russo.

— Dove avrà pescato costui? — si era domandato il cosacco. — Se sotto di noi vi è sempre il deserto!

Il capitano accortosi della loro presenza, si era avanzato col sorriso sulle labbra, dicendo con una leggera ironia:

— Signor Rokoff, che cosa ne dite del liquore dei frati del monte Athos?

— Per le steppe del Don! — esclamò l’ufficiale, a cui non era sfuggito quell’accento beffardo. — Mi ha fatto dormire come un orso! Se anche ai frati fa questo effetto, non devono abbondare in preghiere.

— Mi perdonate, signori?

— Di che cosa! — chiesero ad una voce Fedoro e Rokoff.

— Di avervi fatto bere troppo?

— Ah! Signore! — esclamò Rokoff. — Io spero invece che ci farete assaggiare ancora di quel liquore.

— Sì, ma senza narcotici, — rispose il capitano.

— Ci avete messo un sonnifero dentro?

— Sì, signor Rokoff. Pensate che avete dormito trentasei ore.

— Fulmini del Don! Ecco il perchè mi sento indosso un appetito da lupo rabbioso.

— Abbiamo ancora delle trote e un altro prosciutto d’orso.

— Che noi mangeremo assieme a quel signore... — disse il cosacco, accennando lo sconosciuto.

— Ah? Mi scordavo di presentarvelo, — disse il capitano. — Un mio amico e soprattutto un valoroso.

— E pescato dove, se è permesso saperlo? — chiese Fedoro.