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la festa delle lanterne 13

buon Rokoff? Siamo in Cina e dobbiamo uniformarci agli usi del paese.

— Che generosità pelosa! — gridò il cosacco sdegnosamente.

— Da negoziante e soprattutto cinese. Metti l’anfora da una parte.

— Un così bell’oggetto regalato! Se l’avessi io, mi comprerei cento cavalli, ma che dico? Parecchie centinaia. Ah! E non si mangia qui?

— Aspettiamo prima la visita di Sing-Sing. Non si farà aspettare. —

Fedoro aveva pronunciato quelle parole, quando il maggiordomo entrò per la terza volta, annunciando il padrone.

Un momento dopo Sing-Sing, il più ricco negoziante di the della capitale dell’impero, entrava nella stanza.


CAPITOLO II.

Un banchetto cinese.

Sing-Sing era il vero tipo del cinese, tipo che è così differente dal manciuro che appartiene alla razza dominante.

Era un uomo piuttosto tozzo, molto obeso, prerogativa dei ricchi cinesi molto invidiata dal popolo, colla faccia piatta e larga, cogli zigomi molto pronunciati, il mento corto e tondo, il naso un po’ depresso senza essere schiacciato, gli occhi un po’ obliqui colla sclerotica giallastra e molto sporgenti.

Due lunghi baffi, che cadevano inerti presso gli angoli della bocca assai larga, ruvidi e grossi, gli davano un aspetto strano e contrastavano vivamente col loro colore oscuro e colla tinta bruno-giallastra della pelle.

Al pari dei ricchi borghesi, indossava una larga casacca di seta fiorata, la kao-ka-tz, che scende fino alle ginocchia, aperta sul lato destro del petto e assicurata da una cintura dalla quale pendeva una borsa; calzoni pure larghi e corti, calze di seta e scarpe quadre con alta suola di feltro bianco.

Sul capo invece portava un cappello conico, adorno di una striscia di zibellino e d’un piccolo fiocco rosso.

Dopo d’aver inforcato un paio d’occhiali di quarzo, di dimensioni straordinarie, il cinese si avanzò verso Fedoro stendendogli la mano all’europea, senza però stringergliela.

— Vi aspettava, — gli disse — e sono ben lieto di rivedervi