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le trote del caracorum | 145 |
quindicesimo bicchiere, quando uno dopo l’altro si rovesciarono sulle loro sedie, pallidissimi e come morti.
Il macchinista ad un cenno del capitano, era accorso.
Prese la bottiglia ancora semi-piena ed il bicchiere del suo padrone che non era stato toccato e gettò l’una e l’altro fuori dalla navicella.
— Portiamoli nelle loro cabine, — disse il comandante.
— Non si sveglieranno, signore?
— Il narcotico è potente.
— Che cosa diranno poi?
— Non sono forse io il padrone qui? Non devo rendere conto a chicchessia delle mie azioni. Aiutami. —
Presero prima Rokoff e lo portarono entro il fuso, deponendolo nel suo letto, poi fecero altrettanto con Fedoro. Nè l’uno, nè l’altro avevano fatto un gesto durante quel trasporto.
Parevano morti.
— A tutta velocità, — disse il capitano, quando risalì. — Non dobbiamo essere lontani più di centosessanta miglia e ci si aspetta.
— E il telegramma del russo? — chiese il macchinista.
— Andrò a spedirlo io. I cavalli non mancano in questa regione ed entrerò in città senza che nessuno se ne accorga. Aumenta più che puoi. In quattro o cinque ore vi saremo. —
CAPITOLO XIX.
I misteri del capitano.
Quanto Rokoff e il suo amico Fedoro dormirono? Non lo seppero mai e non si curarono nemmeno di saperlo, perchè una sorpresa ben più interessante li attendeva al loro risvegliarsi ed una sorpresa assolutamente inaspettata.
Quando ricomparvero sul ponte, ancora un po’ assonnati e colla testa molto pesante per l’effetto del narcotico loro somministrato dal capitano e anche pel troppo alcool ingoiato, lo Sparviero non fuggiva più verso il nord, bensì verso il sud-ovest, con una velocità vertiginosa.
Ma non era tutto. L’equipaggio della macchina volante, chissà in qual modo, era aumentato d’un nuovo personaggio.
Quello sconosciuto, raccolto chi sa dove, era un uomo di