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le trote del caracorum 141


— Ed il capitano? — chiesero.

— Eccolo che ritorna, — rispose il giovane.

Infatti il comandante saliva in quel momento la riva, portando un canestro che pareva molto pesante e un ammasso di reti.

— Vedete che non mi ero ingannato, — disse, quando vide l’orso che Rokoff stava già scuoiando. — Anch’io però ho mantenuto la promessa e porto delle superbe trote che domani assaggeremo.

— E perchè no questa sera? — chiese Fedoro.

— Perchè domani voglio offrirvi un pranzo veramente squisito.

— Si festeggia qualche lieto avvenimento?

— Può darsi, — rispose il capitano col suo solito sorriso enigmatico. — Oh, non vi lamenterete di questo ritardo; ho ucciso un magnifico cigno che sta già cucinando al forno, è vero macchinista?

— Deve essere già pronto, signore.

— Allora prepara la tavola, mentre io lo dissotterro.

— L’avete sepolto? — chiese Rokoff.

— Io cucino la grossa selvaggina alla moda africana, — rispose il capitano. — Non avete mai assaggiato un piede d’elefante od un pezzo di proboscide cucinato dai negri?

— Mai, capitano.

— Ed io sì.

— Voi dunque siete stato in Africa? — chiese Fedoro.

— Sì.

— Col vostro Sparviero?

Il capitano invece di rispondere a quella domanda girò intorno al fuso, si armò d’una corta zappa e mostrò al cosacco ed al russo un fuoco che ardeva sopra un piccolo rialzo di terra.

— Il mio forno, — disse. — Il cigno deve essere arrostito a perfezione. —

Sbarazzò il suolo dai tizzoni e dalle braci, poi scavò dolcemente la terra e mise allo scoperto una massa avvolta fra larghe foglie avvizzite, che mandava un profumo così appetitoso da far venire l’acquolina in bocca al cosacco.

Tolse le foglie e mise allo scoperto un grosso cigno, cucinato intero e che depose su un gigantesco piatto d’argento, portato dal macchinista.

— Andiamo a dare l’assaggio, — disse. — Sarà squisito. —