Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
132 | capitolo diciassettesimo |
Stava per puntare il fucile, quando in aria si udì uno scricchiolio, poi il fuso si spostò, piegandosi un po’ su un fianco.
— Maledizione! — gridò il capitano. — L’ala ha ceduto! Macchinista, le eliche prima che la discesa cominci! —
Il fuso non si era ancora abbassato, quantunque il movimento delle ali fosse stato subito arrestato. Soffiando un fresco venticello i piani inclinati lo avevano sorretto in modo da far conservare al fuso la sua altezza di quattrocento metri.
— Ci raggiungeranno, è vero capitano? — chiese Rokoff.
— I mongoli?
— Sì.
— Guadagnano già.
— Ed il vento è debole, — aggiunse Fedoro.
— Signori, si tratta di non risparmiare le cartucce, almeno fino a quando avremo raggiunte o superate quelle colline.
— Rokoff, — disse Fedoro. — A me il cavaliere di destra; a te quello di sinistra.
— Ed a me quello che li segue, — aggiunse il capitano. — Vediamo se possiamo arrestarli. —
Puntarono le armi appoggiandole sulla balaustrata, poi fecero fuoco a pochi secondi d’intervallo.
Questa volta non erano stati tutti cavalli a cadere. Due avevano continuata la loro corsa senza i loro padroni, i quali giacevano sulla neve senza moto.
Il terzo invece era stramazzato come fosse stato fulminato, facendo fare al suo signore una superba volata in avanti.
I mongoli, vedendo quel massacro, per la seconda volta si erano arrestati, urlando ferocemente e scaricando i loro moschettoni, le cui palle non potevano ancora giungere fino allo Sparviero.
La paura cominciava a prenderli. Passarono parecchi minuti prima che si decidessero a continuare l’inseguimento.
Conoscendo ormai l’immensa portata delle armi degli aeronauti, non si avanzavano più colla foga primitiva e rallentavano sovente lo slancio dei loro cavalli.
— La nostra scarica ha prodotto un buon effetto, — disse il capitano.
— È stata una vera doccia fredda che ha calmato i loro entusiasmi bellicosi, — rispose Rokoff. — Volete continuare capitano?
— È inutile sacrificare altre vite umane. Sono dei poveri