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130 capitolo diciasettesimo


Mentre il macchinista, abbandonata la ruota al capitano, andava a prendere le armi, i mongoli continuavano vigorosamente la caccia, sferzando e speronando le loro cavalcature.

Dopo il primo slancio dello Sparviero, erano rimasti subito indietro, ma da qualche minuto, rallentata la marcia dell’aerotreno per non compromettere l’ala già troppo malferma, avevano cominciato a guadagnare qualche centinaio di passi.

Si trovavano però ancora a mille e duecento o trecento metri, ossia troppo lontani perchè le palle dei loro moschettoni potessero giungere fino allo Sparviero. Tuttavia di quando in quando, forse per entusiasmarsi o forse per intimorire gli aeronauti, sparavano qualche colpo, assolutamente inoffensivo, perchè quelle vecchie armi non dovevano avere che una portata molto limitata, malgrado le grosse cariche di polvere.

— Pare che siano proprio decisi a prenderci, — disse Rokoff a Fedoro.

— Finchè i loro cavalli non cadranno, continueranno a darci la caccia.

— Sono cattivi questi mongoli?

— Forse no, anzi sono ospitali, tuttavia non c’è da fidarvi di loro.

— L’anno più collo Sparviero che con noi.

— Vorranno impadronirsene.

— Resisterà l’ala?

— Lo dubito, Rokoff. Oscilla sempre più forte e m’aspetto di vederla cadere da un momento all’altro.

— E precipiteremo anche noi dopo.

— Vi sono le eliche.

— Non basteranno ad innalzarci.

— Impediranno o almeno ritarderanno molto la nostra discesa.

— Se potessimo raggiungere prima quelle colline che occupano tutto l’orizzonte settentrionale!...

— Riusciremo a superarle?

— Non mi sembrano molto alte, — rispose Fedoro, che le osservava attentamente.

— E noi ci troviamo?

— A quattrocento metri d’altezza.

— Se potessimo innalzarci di più!

— Il capitano non osa forzare troppo le ali.

— Ah!