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il deserto di gobi 119


— Ah! Qualcuno tenta d’intaccare il metallo.

— E sopra? Hai udito?

— Sì, qualche oggetto è stato rotolato sul ponte.

— Che siano i nomadi del deserto?

— Rokoff, andiamo a vedere. Abbiamo dodici palle e di grosso calibro.

— Saliamo, Fedoro.

— Senza avvertire il capitano?

— Noi non sappiamo ancora se esista veramente qualche pericolo; lasciamolo quindi dormire per ora.

— Andiamo, Rokoff.

— Tu prendi la lampada e sta dietro di me. —

Salirono in punta dei piedi i quattro gradini che mettevano sotto il boccaporto, poi il cosacco tirò risolutamente la sbarra che tratteneva internamente la botola e saltò fuori, tenendo la rivoltella puntata.

Fedoro lo aveva subito seguito, ma un furioso colpo di vento aveva spento la lampada che teneva nella sinistra.

— Ah! Per le steppe... —

Rokoff non finì la frase. Aveva fatto un salto indietro, urtando così malamente il compagno da farlo cadere.

Fra le tenebre aveva veduto un’ombra agitarsi a poppa, presso la ruota del timone. Era un uomo o una belva?

Il cosacco, ancora abbagliato dalla luce della lampada, non potè subito sapere con quale avversario aveva a che fare.

Tuttavia puntò risolutamente la rivoltella e scaricò, uno dietro l’altro, tre colpi.

L’ombra mandò un urlo rauco, poi, con un balzo, varcò la balaustrata, precipitando giù dal fuso.

— Colpito? — chiese Fedoro, che si era prontamente risollevato e che si preparava, a sua volta, a far fuoco.

— Ferito, forse, — rispose il cosacco, slanciandosi verso la balaustrata.

L’ombra si era subito rialzata e galoppava fra i cespugli, cercando di guadagnare un folto gruppo di betulle. In quel momento il capitano e il macchinista comparvero sul ponte, entrambi armati di carabine.

— Che cosa fate qui, signori? — chiese. — Contro chi avete fatto fuoco? Chi ci assale?

— Ho sparato contro un animale che passeggiava sul cassero, — rispose Rokoff.