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il deserto di gobi 117

a quaranta e anche più miglia all’ora. La regione d’altronde era sempre deserta, interrotta solamente da zone nevose sulle quali si vedevano correre, con fantastica rapidità, numerosi cani viverrini, animali somiglianti alle martore, col corpo assai allungato, la testa corta e affilata, le gambe assai basse e il pelame bruno, con striature più oscure. Probabilmente andavano in cerca di qualche laghetto, essendo abilissimi pescatori.

Verso le cinque, nel momento in cui il sole scompariva e che le tenebre calavano rapidissime, lo Sparviero calava dolcemente su una collinetta sulla quale crescevano macchie di betulle, di lauri e di piccoli pini.

— La cena è pronta, — disse il macchinista.

— E noi siamo pronti a divorarla, — rispose il capitano.

— Speriamo che nessuno venga a disturbarci, — disse Rokoff.

— Qui non siamo sull’Hoang-ho e finora non abbiamo incontrato alcun abitante. Prima di discendere ho osservato attentamente i pendii della collina e non ho scorto alcun accampamento.

— Signori, quando vorrete. —

Quantunque soffiasse un vento freddissimo, cenarono sul ponte, al riparo d’una tenda di feltro che il macchinista aveva tesa onde non si spegnesse la lampada ad acetilene.

— Ritengo inutile montare la guardia, — disse il capitano, quando ebbero finito. — Chiuderemo il boccaporto e dormiremo tranquillamente.

— Non vi sono animali feroci nel Gobi? — chiese Rokoff.

— Sì, degli orsi e dei leopardi delle nevi, ma il fuso è troppo solido per le loro unghie. Signori, andiamo a dormire. —

Alzarono le ali onde qualche animale non le guastasse, chiusero il boccaporto e si ritirarono nelle loro cabine, augurandosi la buona notte.

Rokoff, che non era molto stanco, invece di chiudere gli occhi e di spegnere la sua lampadina, si gettò sul letto per fumare ancora qualche pipata di tabacco.

Di quando in quando prestava orecchio agli urli del vento che da qualche po’ era aumentato, spazzando la cima della collina e torcendo con mille scricchiolii le cime dei pini, dei lauri e delle betulle e piegando anche le immense ali dello Sparviero.

Senza sapere il perchè, il buon cosacco non si sentiva tranquillo e pensava ostinatamente agli orsi e alle pantere accennate dal capitano.