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la festa delle lanterne 9


— Finalmente! Anch’io, non ne potevo più!

— Si vede quella dannata casa del signor San... San... Ting... Auff! che nome! Non riuscirò mai a digerirlo, mio caro Fedoro.

— Se dice che ci siamo!...

— Non è la prima volta che ce lo ripete. Che abiti all’inferno questo negoziante di the?

— Pazienza, Rokoff; poi ci riposeremo.

— Riposeremo dal cinese?

— È mio amico.

— Bella amicizia! Una zucca pelata!...

— Troverai un uomo amabilissimo e gentile.

— Uhm!

— Che sarà orgoglioso di ospitare un tenente della cavalleria russa. Il nostro paese gode oggi molte simpatie qui.

— Eppure i nostri in Manciuria ne hanno commesse di quelle grosse. Ne hanno annegati a centinaia nelle acque dell’Amur.

— Inezie, Rokoff.

— Saranno tali forse per i cinesi: già, son così tanti, che diecimila più o meno non contano.

— Non dire però male dei celestiali quando saremo da Sing-Sing.

— Anzi dirò che sono bella gente, — disse il cosacco, ridendo. — Sarò gentile; te lo prometto, Fedoro.

— Allora tutto andrà bene.

— Eccoci, disse in quel mentre il ragazzo. —

Fedoro ed il suo compagno erano giunti dinanzi ad una sontuosa dimora, adorna di colonnati coperti di lanterne, di frontoni di marmo, di ghirigori di porcellana, con tetti e sopratetti a punte arcuate, sormontati da una vera selva di antenne sostenenti bandiere, draghi e gruppi di gigantesche lampade.

Ondate di luce variopinta si proiettavano sulla folla stipata dinanzi al palazzo, dove bruciavano girandole, bambù crepitanti, fuochi di bengala e detonavano razzi e petardi in gran numero.

— Bella casa! — esclamò il cosacco.

— Principesca, — disse Fedoro. — Ciò non mi stupisce, perchè si dice che Sing-Sing, col commercio del the, abbia accumulato milioni su milioni. —

Il ragazzo si era slanciato sull’ampia scala marmorea, sul cui pianerottolo si accalcavano numerosi servi vestiti sfarzosamente, con ampie zimarre di nankino fiorito e larghe