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una cannonata sull’hoang-ho 95


— Sì, se il mio Sparviero non fosse stato munito dei suoi piani inclinati, — disse il capitano. — Andiamo a vedere l’avaria prodotta da quella maledetta palla. —

Sbarcarono balzando fra gli sterpi, sotto i quali si udivano a pigolare numerosi uccelli e si vedevano a fuggire bande di piccoli rosicchianti, ed esaminarono l’ala.

Il proiettile aveva spezzato nettamente l’asta principale, a circa metà altezza, asportandone un pezzo lungo trenta centimetri e forando la seta, sicchè le nervature superiori, non più sorrette, si erano ripiegate.

Era una mutilazione grave, ma non irreparabile.

— Quanto tempo ti è necessario? — chiese il capitano al macchinista.

— Non meno di dodici ore, — disse l’interrogato.

— Rispondi della saldatura?

— Sarete soddisfatto. Abbiamo una buona scorta d’aste d’alluminio e la fucina.

— Ti possiamo essere utili?

— Farò tutto da me.

— Portami dei fucili da caccia. — Poi volgendosi verso Rokoff e Fedoro, disse:

— Signori, facciamo una battuta fra i canneti della nostra possessione. Un po’ di carne fresca spero che l’accoglierete bene. I fagiani dorati e argentati non devono mancare fra questi cespugli.

— Una passeggiata la faccio volentieri, — rispose Rokoff. — E poi mi preme di sapere se i manciù del fortino sono rimasti sui loro bastioni.

— Temete che vengano a disturbarci? Non credo che ci abbiano veduti calare su questo isolotto.

— Non abbiamo percorso molte miglia, capitano.

— Una mezza dozzina.

— Siamo ancora troppo vicini.

— Li consiglierei a non venire qui, — disse il capitano. — Abbiamo una mitragliera che tira stupendamente. Signori, in caccia! —


CAPITOLO XIII.

I mangiatori d’oppio.

Armati di doppiette di fabbrica americana e muniti di numerose cartucce, i tre aeronauti attraversarono la radura, dirigendosi verso gli alberi che ornavano le rive dell’isolotto.