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86 | capitolo undecimo |
— Pace, — disse il capitano in buon cinese. — Non temete nulla dall’uomo bianco, che è amico dei cinesi. —
Un vecchio che aveva una coda lunghissima e due baffi che gli giungevano fino a mezzo petto, si fece innanzi, muovendo le mani in forma di ventaglio e ripetendo: isin! isin! parola che equivale ad un deferente saluto.
— Chi è l’uomo che avete sepolto? — chiese il capitano.
— Un lebbroso signore, che era stanco di soffrire, — rispose il vecchio, gettando uno sguardo spaventato sui tre stranieri.
— Non l’avete costretto?
— No, signore, lo giuro sui miei antenati.
— Dov’è il vostro villaggio?
— Laggiù, in fondo a quella valletta.
— Siete in molti?
— Tutta la popolazione è qui.
— Avete del the da venderci?
— Sì, signore.
— Me ne porterete quanto più potrete; vi avverto però che se vi farete attendere troppo o se fuggite manderò ad inseguirvi un drago enorme il quale vi divorerà tutti.
— Conosciamo abbastanza la potenza degli uomini bianchi per non esporci al rischio di provarla, — rispose il vecchio, che continuava a tremare.
— Siccome non mi fido di te, lascerai qui qualche ostaggio fino al tuo ritorno.
— Ti lascierò la figlia del lebbroso.
— Purchè non ci lasci delle pustole.
— Giudicherai tu stesso, signore, se è più sana di me. Vieni Tsi! —
Una fanciulla di tredici o quattordici anni, con un visetto grazioso che la faceva rassomigliare ad una europea, salvo la tinta della pelle che era d’un giallo sbiadito, e un’abbondante capigliatura raccolta in trecce, si fece innanzi barcollando sulle due scarpettine quasi microscopiche.
Come suo padre, il povero lebbroso, indossava una casacca di seta e portava dei larghi nin-ku, specie di calzoni che scendono fino alla noce dei piedi. Sulla testa aveva una di quelle piccole ciarpe chiamate nin-hiai di forma appuntita, usate dalle piccole persone benestanti.
Guardò curiosamente il capitano ed i suoi due compagni, alzando ed abbassando vivamente le palpebre dalle lunghe