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i drammi della schiavitù 63


– Voglio che viva!...

– È strana! – esclamò il dottore. – Cosa interessa a te che quest’uomo viva o muoia? Gli schiavi odiano sempre i loro padroni e più di tutti i negrieri, che li rapiscono alla loro patria. Perchè non l’odii tu?...

– Non lo so – mormorò la schiava. – Ma io non l’ho mai odiato.

– Tu sei pallida, Seghira. Ameresti Alvaez?

– Sono una schiava, dottore... – rispose la mulatta, volgendo altrove lo sguardo. – Gli schiavi dell’Africa maledetta non possono amare, e poi... io... amare lui?... Il padrone che a tutti comanda!

– Sei bella, Seghira.

– Sono una schiava, signore.

– Chissà! – mormorò il dottore. – Si sono veduti ben altri casi... Altri negrieri... e perchè no?... Che bella coppia per bacco!

Tacque udendo dei passi nella corsia. Si volse e vide fermi sulla porta della cabina il secondo e mastro Hurtado.

Il primo era più livido del solito, grave, quasi cupo, ma nei suoi grandi occhi grigi si leggeva una viva inquietudine, una agitazione che pareva a gran pena repressa; mastro Hurtado era invece sconvolto e sulle sue brune guance si vedevano rotolare silenziosamente due stille, forse le prime che quell’orso marino versava.

– È morto? – chiese con voce funebre il secondo.

– No, signor Kardec – rispose il dottore, fissandolo con attenzione particolare.

– È grave la ferita?

– Grave sì, ma forse non mortale.

Negli occhi del bretone balenò un fosco lampo e quella faccia punto simpatica, ebbe un trasalimento nervoso.

– Lo salverete, dottore? – chiese il mastro, con voce tremula.

– Lo spero, Hurtado.

– Ah! Cane d’un incrociatore! – esclamò il mastro con ira. – Conciare così il mio capitano! Se lo avessi saputo prima, facevo fracassare le imbarcazioni e li affondavo tutti!...

– Sarebbe stata una ferocia inutile, Hurtado.

– Inutile!... Eh! Per mille treponti sventrati!... Non sono stati loro a rovinare il mio capitano?

– Chi loro?

– Quei cani del London.