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i drammi della schiavitù 31


ingrassare colle loro carni le fiere della foresta e si fanno scomparire.

Alla costa i superstiti hanno un po’ di tregua. Si nutrono abbondantemente, si lasciano riposare, si accorda a loro qualche ora di libertà perchè si rimettano dalle lunghe fatiche e dalle privazioni e facciano una discreta figura, dinanzi al negriero che verrà a comperarli.

Dove andranno? Quei disgraziati lo ignorano, ma tutti hanno udito a parlare con profondo terrore del vascello che porta i negri ed i più, credono che i bianchi li acquistino per mangiarli!... È adunque un’angosciosa aspettativa, che dura fino all’arrivo della nave negriera.

Quando il misterioso vascello giunge, s’imbarcano sulle scialuppe e si ammucchiano nel frapponte della nave. Cinquecento creature, si sono vedute pigiate nella stiva di una nave di centosessanta o cent’ottanta tonnellate!...

E quella prigionia in quello stretto spazio privo d’aria, sotto i torridi calori dell’implacabile sole equatoriale, dura due mesi, talvolta tre, fors’anche quattro, se le calme sorprendono la nave. Le malattie non tardano a svilupparsi, il colera, la febbre gialla, il tifo o qualche cosa di peggio fanno la loro comparsa e le stragi ricominciano anche sull’oceano. Bah? Cosa importa? I pescicani seguono i vascelli negrieri a dozzine, attratti dal loro istinto infallibile ed i morti, invece di riposare all’ombra dei secolari baobab, avranno per tomba gl’intestini di quei formidabili squali!...

I mille prigionieri son diventati trecento, ma bastano a pagare non solo le spese, ma a realizzare dei lauti guadagni. Al di là dell’oceano si pagano cari e sono ricercati dovunque, nel Brasile, nelle piccole repubbliche americane, nelle isole del golfo del Messico.

Ed eccoli finalmente sbarcati, gli ultimi superstiti di quell’ecatombe umana, ma le loro pene non sono ancora finite.

Nelle piantagioni non vi è sosta e anche là lo staffile li accompagna. Lavorano dall’alba al tramonto e guai a chi vi si rifiuta. Tanto peggio pei deboli o pei malati; tanto peggio per coloro che, stanchi di quella interminabile serie di dolori, tenteranno la fuga. L’implacabile sferza farà cadere gli uni e gli altri, se non cadono prima sotto i denti dei cani che s’adoperano nella caccia degli schiavi fuggiaschi, o, come si chiamano laggiù, marroni.

Le tribulazioni di quei miseri non termineranno che il giorno in cui la morte li sorprenderà, ma nemmeno la morte li farà felici. Morranno lontani dai loro grandi boschi, lontani dalla loro ca-