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28 emilio salgari


— Una fiasca di polvere pei miei guerrieri.

— E una palla per affogarti nel fiume, — disse il mastro.

— E una corda per appiccare questo ladrone, — aggiunse Alvaez. — Non ti darò un granello di polvere sopra i contratti.

— Ma i miei guerrieri...

— Basta o me ne vado. Conducimi a vedere gli schiavi, mentre i miei uomini sbarcheranno le mercanzie. Fra due ore voglio lasciare la baia.



IV.


La tratta.


La tratta!... Ecco una parola che non può avere un significato più triste: una parola che fa allibire dallo spavento le innumerevoli tribù del grande continente africano; una parola che suona barbarie inaudite, massacri orrendi, saccheggi, incendi, fiumi di sangue, distruzioni spaventevoli.

Se i primi coloni dell’America avessero sospettato ciò che poteva produrre l’importazione degli schiavi africani nelle loro piantagioni, in sostituzione delle deboli razze americane, malgrado la poca delicatezza dei loro animi, avrebbero forse respinto inesorabilmente le prime navi negriere che il Portogallo inviava sulle coste del Brasile, e più tardi quelle spagnole e francesi, che riversavano a migliaia, gl’infelici africani, sulle sponde delle ridenti isole del grande golfo messicano.

È da allora che si cominciò a considerare la razza negra come degenerata, a motivo forse del colore della sua pelle, per paragonarla a poco a poco a una razza di veri animali, destinati a lavorare fino all’esaurimento completo delle loro forze ed a trafficarli come fossero montoni, buoi e forse peggio, cioè anzi molto peggio.

Le continue richieste di negri da parte dei piantatori americani, che vedevano prosperare meravigliosamente le loro immense piantagioni sotto le robuste braccia degli africani, crearono le navi trafficanti di negri, o come dicevansi allora, di ebano vivente e quelle terribili bande di cacciatori d’uomini, che dovevano più tardi acquistare una tremenda, una sanguinaria fama.

Sembrerebbe incredibile, eppure quell’idea mostruosa nacque