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26 | emilio salgari |
— Non andare in collera, compare.
— Ne ho abbastanza delle tue chiacchiere e conosco la tua tattica che è quella di far perdere la pazienza alle persone. Il prezzo, ti ripeto.
— Hai tanta fretta e non mi hai dato che due bottiglie mentre le altre volte ne vuotiamo parecchie...
— Vuoi finirla?...
— Bene, bene, mi rifarò un’altra volta. Dunque tu vuoi sapere il prezzo. Hum! Sono un po’ cari gli schiavi questa volta. Quei dannati Baccalai si difendono come leoni, e non si lasciano più cogliere di sorpresa dai miei bravi guerrieri. E i Fani?... Nell’ultimo combattimento mi hanno ammazzato più di trecento uomini e me ne hanno storpiati mille almeno.
— Ricominci le chiacchiere ora? — disse Alvaez, facendo atto d’alzarsi.
— No, compare, ti esponevo i pericoli e le fatiche che devono affrontare i miei valorosi guerrieri.
— Me ne infischio io delle tue bande di furfanti.
— Sai che ho perduto tre dei miei più valenti capi, per imprigionare il gran capo Niombo?
— Niombo? Chi è quest’uomo?
— Il più terribile negro dell’Africa equatoriale, un uomo che possiede una forza prodigiosa e che se non riuscivo a catturarlo, avrebbe distrutto il mio regno.
— Era un re?
— E un re potente, poichè tutti i Fani, i Grebo, i Mopanghi, i Baccalai e perfino i Kru della costa gli erano sottomessi.
— Viene dall’interno?
— Chi lo sa? Si dice che sia un figlio del re di Cacongo, ma non ti saprei dire se ciò sia vero; però deve essere di sangue reale e di buon sangue.
— E come lo hai catturato?
— Le mie bande lo sorpresero in un villaggio poco discosto dai miei confini, mentre era accompagnato da una cinquantina di guerrieri, ma pagarono ben cara la vittoria. Mi si disse che Niombo si difese come un leone e che da solo uccise più di trenta assalitori, quantunque fosse armato di una semplice mazza.
— Vuoi cedermelo? — chiese Alvaez.
— Sì, ma quell’uomo lavorerà come dieci schiavi e perciò me lo pagherai più caro.
— Vedremo.
— Ma...