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180 | emilio salgari |
XXIII.
Le coste dell'Africa
L’equipaggio, svegliato di soprassalto da quel grido da tanti e tanti giorni angosciosamente atteso, e che giungeva ai suoi orecchi più caro che non fosse l’annuncio d’un delizioso pranzo o della scoperta d’un barile d’acqua fresca, si era precipitato confusamente verso prua, dove Vasco, ritto su di un barile, colle braccia tese verso l’est, continuava a gridare:
– Terra!... Terra!...
Là, dove l’orizzonte si confondeva coll’Oceano, una striscia sottile, d’un azzurro cupo, si estendeva correndo dal nord al sud, e più oltre si scorgevano delle lievi sfumature, che dovevano essere delle lontane montagne.
Un grand’urlo irruppe da tutti i petti.
– Sì, terra!... terra!...
Gli equipaggi che Cristoforo Colombo conduceva alla scoperta del misterioso continente americano, non dovevano essere stati meno commossi dell’equipaggio dell’affondata Guadiana, quando avevano veduto delinearsi all’orizzonte la prima isola del golfo messicano.
Kardec, Vasco, portoghesi, francesi, inglesi ed americani, parevano che fossero impazziti dalla gioia nello scorgere quella striscia azzurra, che a loro indicava la costa africana. Gridavano, si abbracciavano, si baciavano, piangevano e ridevano ad un tempo e forse per la prima volta, ringraziavano Iddio di averli condotti in salvo.
Dopo quel primo scoppio di gioia, una vera frenesia s’impadronì di tutti: volevano approdare subito a quella costa, quasi fossero paurosi che si dileguasse.
Ogni braccio afferrò una manovella, una tavola, un remo e tutti si misero ad arrancare con furore, spingendo innanzi la zattera.
– Coraggio, ragazzi! – gridava Kardec, che si era impadronito di un remo e che arrancava come l’ultimo marinaio.
– Forza, amici! – ripeteva Vasco, che non perdeva una battuta. – Presto saremo a terra!...