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i drammi della schiavitù 15

Nazareth, il Messia e il Fernando Vas, che per lungo tempo si credettero fiumi indipendenti.

Grandi paludi la ingombrano, tagliate da canali e canaletti in mezzo ai quali nuotano mostruosi coccodrilli, sempre avidi di preda, ma più oltre si estende un bosco immenso di mangifere che si prolunga per parecchie dozzine di miglia entro il territorio dipendente dal re Bango.

A quell’epoca, nessuna fattoria europea aveva ancora osato affrontare le esalazioni pestilenziali che s’innalzano sulle acque nerastre puzzolenti dei canali, che gli stessi negri fuggivano. Quelle paludi godevano una sinistra fama e tutti non ignoravano, che fra quei bambù e quei paletuvieri, si celava la morte sotto forma di febbri fulminanti.

Già all’olfatto dei marinai giungevano i primi sintomi di quell’aria mortale. Erano miasmi puzzolenti, prodotti dal corrompersi degli alberi e delle erbe trascinati al mare dalle piene, durante la stagione delle grandi piogge e bagnate alternativamente dalle acque dolci e salate; ma quei negrieri, uomini rotti a tutte le fatiche e abituati a tutti i climi, non erano tali da spaventarsi per così poco.

La baleniera, guidata dalla robusta mano di Vasco, superò la barra e si cacciò nel Nazareth, le cui sponde sparivano sotto una vera muraglia di verzura. Colà s’intrecciavano confusamente dei giganteschi mangli, che in quelle regioni raggiungono uno sviluppo enorme, colle felci arboree, dal fusto sottile e assai lungo; le aloe si curvavano graziosamente sulle nere acque del fiume accanto agli asclepodi e alle mangifere; gli alberi del legno di ferro, così chiamati per la loro estrema durezza e che sfidano la migliore scure, si frammischiavano ai fichi baniani dalle radici immense, disposte in forma di palafitte; i bambù s’intralciavano cogli arbusti acquatici esalanti febbri mortali; i banani cogli alberi rossi da tintura ed in mezzo a quel caos di vegetali d’ogni specie e d’ogni dimensione, giganteggiavano i secolari baobab, che da soli formavano una foresta intera, coi loro tronchi enormi ed il numero infinito dei loro rami.

Qua e là, sotto quelle volte di verzura, i marinai udivano, non senza un brivido, rauchi sospiri, sibili acuti, sordi muggiti, potenti fischi e di quando in quando dei sonori ruggiti, che facevano tacere tutti gli altri per parecchi minuti, poi nelle acque fangose e puzzolenti udivano piombare dei corpi pesanti e degli spruzzi giungevano fino alla scialuppa.

— È un serraglio questo — borbottava il mastro. — Cocco-