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164 | emilio salgari |
XXI.
Gli orrori della fame
Udendo quel grido che tradiva un profondo orrore e vedendo quel gesto, Kardec era scattato in piedi, pallido come un cadavere, il viso trasfigurato, le mani raggrinzite, gli occhi strambuzzati. Fece due passi indietro, barcollando come se fosse stato colpito a morte, emettendo una specie di rantolo, come un ruggito di rabbia e di dolore.
– Seghira! – mormerò egli.
– Kardec, – rispose la schiava frenando, con una energia suprema, il tremíto della voce. – Perchè ve ne andate?
– Ma tu... quel grido... quel ribrezzo... oh! tu non m’amerai mai!...
– E chi ve lo ha detto?... Forse che si può comandare all’anima, al sangue? Io avevo amato il capitano Alvaez ma ora... egli è morto e non tornerà più mai a farmi felice.
– Ma tu mi odierai!...
– Io?... Non sei un uomo forte tu?... Non sei coraggioso come il capitano Alvaez?... Perchè non potresti farmi felice tu, invece dell’altro che dorme il sonno eterno nei baratri dell’Atlantico?... Forse perchè l’hai ucciso? Anche nel mio paese i rivali si uccidono e le donne dell’Africa ardente amano il vincitore.
– Ma tu...
– Chi sono io?... Non ho nelle mie vene il sangue delle donne del mio paese? Sono selvaggia anch’io, ed anch’io amo l’uomo forte, il vincitore, che ha soppresso il rivale. Vieni, vieni, io ti amo perchè sei perverso, perchè sei crudele, perchè sei spietato, perchè sento che fra tutti coloro che montano questa zattera, tu solo potresti ricondurmi in patria e farmi felice!
C’era nella voce della schiava un accento strano, ma che affascinava come lo sguardo del serpente che attira l’uccellino. Con una brusca mossa aveva gettata all’indietro la lunga e nera capigliatura dai riflessi metallici, che la copriva come un manto di velluto ed aveva esposto il suo superbo volto, improntato d’una energia straordinaria, agli azzurrini raggi della luna.