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148 Emilio Salgari


ordinariamente poco, ma quale violenza acquistano in quel breve tempo!...

L'equipaggio aveva appena terminato di tendere le funi e di assicurare le casse e le botti delle provviste, che l'Oceano si sollevò come se il fondo dell'Atlantico fosse stato scosso da un formidabile terremoto, mentre la brezza si mutava in ventaccio impetuoso, che strideva ed urlava fra il sartiame dell'albero. Lividi lampi illuminavano la notte e tuoni interminabili scuotevano e laceravano le masse vaporose, volteggianti sulle ali del turbine.

Ad un tratto fra i muggiti delle onde, i sibili del vento ed i tuoni, si udì in alto un violento crepitìo, un cupo ronzìo che rapidamente s'avvicinava e poco dopo si rovesciò sull'oceano un diluvio d'acqua, ma quale diluvio!... Era una vera tromba, era una cateratta immensa; pareva che lassù si fosse improvvisamente capovolto un lago di mille miglia quadrate.

L'equipaggio, sdraiato sul ponte della zattera, si lasciava inondare. Quale gioia nel sentirsi immollare le carni da quella pioggia fresca, inzuppare le vesti, irrigare il viso bruciato, cotto e ricotto dal terribile sole equatoriale! E quale ebbrezza nel sentirsi la bocca piena di quell'acqua che pareva più dolce del miele a quei disgraziati morenti di sete e sentirla scendere nella gola inaridita!... Era, come aveva detto poco prima Kardec, una vera orgia d'acqua!...

Quella cateratta durò mezz'ora, niente di più, ma bastava. Tutti si erano finalmente dissetati, tutti si erano rinfrescati e le tele incatramate sospese fra l'albero e le estremità della zattera erano piene al punto di scoppiare. Ormai non vi era più pericolo di morire di sete.

Ma se la pioggia era cessata e se le nubi si erano spezzate lasciando intravedere l'astro notturno e le stelle, il vento continuava a ruggire con crescente violenza e l'Oceano montava sempre, coprendosi di onde gigantesche e spumeggianti.

La zattera, che fuggiva verso il sud-est con velocità crescente, crepitando, oscillando violentemente, sormontando penosamente i cavalloni, veniva spazzata da un capo all'altro dai colpi di mare, che superavano facilmente i bordi.

Gli uomini, che si erano affrettati a rinchiudere nei barili l'acqua raccolta nelle tele, cercavano di resistere a quei rullii, a quei beccheggi disordinati e all'irrompere furioso delle acque, ma invano. Venivano strappati dalle corde, sbattuti e travolti in tutte le direzioni e rotolati fino agli orli. Niombo e il dottore, penavano assai a difendere Seghira dall'impeto delle enormi ondate.