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122 emilio salgari


Vi erano casse piene di olio di elais destinate all’alimentazione dei negri, ma incompatibili con gli stomachi dei bianchi che non riescono ad abituarsi a quel cibo sostanzioso, sì, ma eccessivamente nauseante: sette di biscotti del peso complessivo di quattrocento chilogrammi, una di conserve alimentari, tre barili di farina, due di porco salato, quattro di acqua dolce della capacità complessiva di trecentosessanta litri e uno di tafià. Tutte le altre casse contenevano vesti, munizioni, armi e oggetti di scambio, cose quasi affatto inutili in pieno Oceano.

Tutto sommato, riducendo le razioni ai minimi termini, ciò che potevasi fare trovandosi i naufraghi sotto l’equatore, vi era di che cibarsi, a tutto rigore, per due settimane, ma la provvista d’acqua sarebbe durato tanto?... Ecco ciò che si chiedevano con ispavento i marinai, i quali non ignoravano che sotto quei torridi calori la sete è costante e che di rado si spegne.

Kardec, che comprendeva forse meglio di tutti la gravità della situazione, fece accumulare i viveri attorno all’albero e stendere sopra le casse e i barili una tenda per ripararli dal sole e dalle onde, minacciando di far appiccare all’estremità del pennone, colui che avesse osato di toccarli senza suo ordine.

Mentre si faceva ciò, il dottore si sforzava a far tornare in sè la giovane schiava, che Niombo aveva adagiato sotto una piccola tenda rizzata in un angolo della zattera. Non possedendo nulla, giacchè la piccola farmacia era andata a picco assieme alla nave ed avendo perfino perduto, nell’orribile confusione, i suoi istrumenti, strappò al negro la penna d’aquila che portava sul capo, distintivo di re, e accesala l’accostò alle nari della svenuta.

Quell’odore sgradevole, ottenne un successo insperato. Seghira si scosse bruscamente, facendo con le mani un gesto come per allontanare la penna che le toccava quasi il viso, poi emise un profondo sospiro e finalmente aprì i suoi grandi occhi, fissandoli sul dottore.

– Dove sono io? – chiese, con voce rotta.

Poi con una mossa da leonessa s’alzò a sedere, girando all’intorno uno sguardo smarrito. Allora la memoria le ritornò con la rapidità del lampo: tutto si rammentò.

– L’hanno ucciso adunque? – chiese ella con voce cupa.

– Sì, Seghira, ma sii tranquilla – rispose Esteban.

– Sono calma, dottore: guardate, non ho una sola lagrima negli occhi!... Eppure per quell’uomo avrei compiuto qualsiasi sacrificio.

La giovane schiava stette zitta alcuni istanti comprimendosi con