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112 | emilio salgari |
XV.
Un’ecatombe umana.
Una scena orribile, mostruosa, accadde allora sul ponte dell’affondante legno.
I negri, che ormai avevano compreso che la Guadiana stava per andare a picco e che l’equipaggio stava per abbandonarli, resi pazzi dalla paura, si erano precipitati sul ponte con tale impeto da rovesciare d’un sol colpo l’equipaggio, mastro Hurtado, Vasco e perfino il dottore.
Erano un centinaio, ma altri ne uscivano dalla camera comune, travolgendo donne e fanciulli, irrompendo dalla parete che qualcuno doveva avere abbattuta a colpi di scure e sotto coperta si udivano gli altri a spezzare le catene, mentre i più robusti cercavano di strappare le sbarre della grata di ferro, per facilitare l’uscita dei compagni.
Vedendosi liberi dinanzi ai loro aguzzini, che consideravano come i soli autori delle loro inenarrabili sofferenze e della loro infelice sorte, i negri da umili schiavi diventati belve feroci, non ebbero che un pensiero: quello di vendicarsi di tutte le torture subìte. Senza pensare che la Guadiana affondava e che stava per inghiottire tutti, si scagliarono furiosamente addosso all’equipaggio armandosi di quanto cadeva sottomano, di asce, di aspe, di manovelle e perfino dei boscelli delle manovre tagliate.
Una lotta tremenda s’impegnò allora tra i negri ed i marinai. Questi, rimessisi dal terrore causato dall’improvviso irrompere di quelli, comprendendo che per loro era finita se non respingevano l’assalto, si ripiegarono confusamente verso il cassero per impedire che la zattera, che era stata ormeggiata a poppa, cadesse nelle mani degli assalitori.
Mentre i carpentieri e gli uomini che avevano preso parte alla costruzione della zattera, cercavano di respingere gli assalitori a colpi di scure, gli altri si gettarono dentro l’armeria sfondando la porta e impugnarono carabine, pistole, sciabole d’abbordaggio, tutto ciò insomma che cadde sotto mano.
I negri, rinforzati dagli altri che continuavano ad affluire sul