Pagina:Salgari - I drammi della schiavitù.djvu/110

108 emilio salgari


lavoro. Sapendo che ormai la Guadiana era perduta, non bastando le pompe a vincere l’acqua, che entrava dalla spaccatura di prua, recisero le sartie, i paterazzi e le manovre scorrenti dell’albero maestro, per avere maggiore spazio, poi assalirono l’albero istesso, facendolo rovinare sul coronamento di poppa.

Malgrado le onde continuassero a scuotere orribilmente la povera nave, i marinari riuscirono a ritirarlo a bordo ed a farlo a pezzi per costruire, assieme ai pennoni, lo scheletro della zattera. Non essendo però quel legname sufficiente per darle tali dimensioni da portare l’equipaggio intero, abbatterono anche l’albero di trinchetto e quello di bompresso, poi sfondarono le pareti della camera di prua e parte delle murate, per avere le tavole per la coperta.

Durante quelle demolizioni, il resto dell’equipaggio lavorava alle pompe, sotto la direzione del mastro e di Vasco, ma la Guadiana affondava sempre. L’acqua aveva già invaso il deposito dei pennoni e delle vele di ricambio e stava per allagare il magazzino dei viveri. Fra poche ore doveva fare la sua comparsa nel frapponte. Quale tumulto avrebbe fatto scatenare allora, fra i cinquecentoventi negri? Ecco quello che si chiedevano con angoscia i marinai, i quali temevano di vedere irrompere gli schiavi sul ponte.

La grata, costruita con grosse sbarre di ferro era stata calata e per maggior precauzione chiusa con chiavarde, ma non avrebbe certo resistito a un assalto di cinquecento uomini, resi furiosi dal terrore e dalla disperazione.

Qualche scena orribile doveva avvenire all’ultimo momento, tutti la presentivano e perciò affrettavano la costruzione della zattera, volendo lanciarla prima che l’acqua facesse la sua comparsa nel frapponte ed avvertisse i negri del pericolo che correvano.

Fortunatamente l’uragano si calmava. Attraverso agli strappi dei vapori, cominciavano ad apparire delle stelle ed il vento non soffiava che a radi intervalli. Anche le onde non avevano più la spaventevole altezza e l’impeto di prima, ma percorrevano ancora l’oceano muggendo e percuotendo violentemente i fianchi della povera nave.

Alle due del mattino l’equipaggio, abbandonate per un momento le pompe, lanciò in acqua lo scheletro della zattera, dopo di averlo ormeggiato solidamente alle bancazze di tribordo con grosse gomene, per impedire che le onde lo portassero via.

Galleggiava, ma era impossibile a completarlo per la violenza dei marosi. Si provò a calare una scialuppa, ma fu capovolta prima e poi schiacciata contro la nave.