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tesco, sormontato da un enorme pennacchio di denso fumo. Ben presto la nave fu di faccia a quel picco che si eleva per 7047 piedi sopra il livello del mare e ognuno dei marinai potè ammirarlo a suo agio. Pareva che, illuminato come era dal chiaror delle fiamme e dagli ultimi raggi del sole morente, galleggiasse in mezzo a un lago infiammato. A poco a poco quel picco sparve nella nebbia della sera.

— Ve ne sono molti di questi picchi così alti nell’America meridionale? — chiese l’ufficiale Mohenn al capitano, il quale munito di un forte cannocchiale, cercava distinguere ancora il vulcano.

— Sì, ve ne sono degli altri, — rispose questi, abbassando l’istrumento.

— Anche più alti? Nominatemeli.

— Sì, signor Mohenn. Il Chimborazo che raggiunge l’altezza di 20 100 piedi; il Pichincha alto 14 040 piedi; il quale erutta sempre; il Cayambe che raggiunge i 18 110 piedi, il Cotopisci vulcano alto 17 712, l’Arconcagua che ne misura 2210; il Corcobado pure vulcano, alto 1047 e il Socalo che tocca i 23 281.

— È vero, capitano che sui fianchi di uno di quei colossi si trova l’antica capitale del Perù?

— Sì, Quito, che si trova ad un’altezza di 8952 piedi.

— La via deve essere lunga prima di giunger lassù?

— Non dico di no e... laggiù in fondo a quella baia, la città di Valdivia.

— La vedo, — rispose l’ufficiale, puntando un binocolo.

Il 23 febbraio la Garonna giunse in vista dell’isola di San Juan Fernandez, cioè quasi di fronte a Callao, il porto di Lima. Il capitano fece bracciare le vele di prora e lanciò la nave verso la costa americana. Tre ore più tardi, dopo alcune bordate, entrava nella baia di Callao, e gettava l’àncora a dieci metri dalla gettata. Il capitano assieme ai due ufficiali e accompagnato da otto marinai scese in una lancia e sbarcò sul molo, onde fare le sue provviste di armi e di munizioni.

Banes avrebbe voluto seguire il capitano a terra, ma questi, che temeva lo denunciasse alle autorità peruviane, glielo impedì e diede anzi ordine a quattro marinai di sorvegliarlo attentamente assieme al suo amico Bonga.

Il capitano quella notte dormì a terra assieme agli ufficiali ed ai suoi marinai, ma l’indomani di buon mattino tornava a bordo conducendo seco sei grandi imbarcazioni cariche di botti ripiene di polvere.

Per due giorni l’equipaggio continuò a caricare viveri, armi, palle e ben dieci grossi cannoni da trentasei, di ultimo modello. Terminati i preparativi guerreschi, il capitano fece riempire la stiva di ce-