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libero. Là, guardate: laggiù vi sono quaranta piroghe che cercano di bloccarci.

— Maledizione! — urlò il comandante.

Senza perder tempo fece spiegare le vele, mentre i cannoni ricominciavano a tuonare insieme per difendere gli uomini della manovra.

Dieci minuti dopo, le ancore erano a bordo e le vele cominciavano a gonfiarsi. L’uscita della baia era allora ingombra di piroghe, ma con una scarica dei suoi cannoni la nave affondò sei o sette imbarcazioni, poi si avventò dritta al passo, sfasciando colla prora tre o quattro altre piroghe. Sparata un’ultima bordata, uscì al largo, spinta da un forte vento che soffiava da terra.

Per alcuni istanti si udirono le grida di rabbia dei dayaki. Poi cessarono mentre i fuochi si spegnevano su tutta la costa.


Capitolo XX.

ALLA ROCCIA


La Garonna, trascinata in mezzo alle onde spumanti sollevate dalle raffiche del nord, si allontanava rapidamente dall’isola di Borneo. Il mare era agitatissimo, il vento impetuoso ed un acquazzone diluviale si rovesciava scrosciando ad intervalli e inondando la coperta della nave. Il capitano, sul ponte di comando, in mezzo alle raffiche ed agli sprazzi d’acqua, comandava la manovra con voce calma e sonora.

— Brutta notte, — disse il secondo avvicinandosi a Parry. — Prima i selvaggi ed ora la tempesta.

— Infatti avete ragione; questo maledetto viaggio non poteva essere peggiore. Mi sembra quasi un sogno l’essere sfuggito sano e salvo da tanti pericoli, — disse Parry.

— I cinque marinai che abbiamo lasciati nella fortezza saranno inquieti per il nostro ritardo.

— Se non ci hanno giuocato invece qualche brutto tiro. L’altra notte ho sognato di loro, e mi parve vederli fuggire colla cassa dell’oro.

— Oh! il brutto sogno! — esclamò il secondo.

— Da far venire la pelle d’oca.

— Diavolo! Ci vorrebbe anche questa nuova per colmare la misura delle nostre sventure. Questa malaugurata spedizione ci ha già rovinati a metà.

— Speriamo però di giungere presto al forte.

— Guardate, pare che la burrasca si voglia calmare. Il vento di