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130 | e. salgari |
riporvi gli attrezzi, poi i marinai armati di accette cominciarono ad abbattere le piante segnate, aiutati dai sei carpentieri di bordo.
Tutto il giorno i marinai lavorarono con accanimento, costruendo innanzi a tutto il timone, che era il più necessario. Venuta la notte i trenta marinai tornarono a bordo, lasciando però sulla spiaggia delle sentinelle. L’indomani i marinai in numero di sessanta, guidati dal capitano, scesero nuovamente a terra. Essi non avevano ancor raggiunto il margine della foresta, quando il capitano si fermò di botto armando il fucile.
— Che cosa avete? — gli chiese il secondo, che gli stava presso.
— Ho udito un fischio echeggiare nel bosco, — rispose Parry.
I marinai in breve raggiunsero il capitano e tutti si disposero su una linea, coi fucili diretti verso il bosco.
Passò un minuto in silenzio. D’un tratto un lungo fischio attraversò l’aria, e poco dopo si udì una voce selvaggia e stentorea gridare:
— A-biras, a-biras induno yenkoro!
Un istante dopo, nel mezzo degli alberi apparve un selvaggio e dietro a questo parecchi altri. Vedendo i marinai, afferrarono le loro armi e si schierarono in semicerchio, guardando con viva curiosità gli stranieri.
Quei selvaggi erano di colore olivastro, e di statura alta e dal portamento fiero.
Avevano i lineamenti quasi regolari, capigliature corte e nere, la pelle tatuata e punteggiata a vivi colori. Portavano delle pelli di tigre attorno al corpo e al collo numerose collane di denti di scimmia e di gaviale.
Le loro armi consistevano in lunghe lancie, in cerbottane dalle frecce avvelenate ed in pesanti clave chiamate balan-kak.
Per alcuni istanti quei guerrieri stettero immobili osservando i marinai, poi il loro capo intonò una bizzarra canzone e si mosse verso gli europei seguìto dai suoi uomini che tenevano le mani tese.
Il capitano Parry a prima vista comprese che quei selvaggi non avevano intenzioni ostili e perciò, fatte abbassare le armi, mosse incontro a loro tenendosi in guardia contro una possibile sorpresa. Il capo dei selvaggi, giunto a pochi passi dal comandante europeo, si toccò prima la testa, poi gli rivolse alcune parole nella sua lingua.
Il capitano conosceva un po’ i costumi dei dayaki avendo una volta naufragato in quei paraggi e, sapendo che il toccar la testa equivaleva ad un saluto, imitò il capo indigeno.
Subito s’impegnò un dialogo fra il capitano e il dayako, ma fu solamente dopo un’ora di sforzi che il primo potè comprendere qualche cosa.
— Capitano, si può sapere cosa desidera questo selvaggio? — chiese il secondo.