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10 e. salgari

perle di vetro. Al collo portavano un pesante anello di bronzo, che doveva ammaccare per bene le loro spalle.

Terminate le cerimonie d’uso, il capitano, il secondo e Pembo entrarono nel tembè reale per discutere d'affari, mentre una ventina di musicisti soffiando nei loro corni e battendo gli upatù, specie di cembali di rame, e sui kilindi, sorta di tamburi di legno scavato, intonavano una marcia fragorosa, forse assai dolce agli orecchi africani, ma niente gradita per quelli europei.

L’interno del tembè reale era di una semplicità senza pari. Non vi erano che alcune pelli di leone che dovevano servire da letto al monarca, una rozza tavola dipinta, alcuni scranni di forma bizzarra, e degli amuleti più o meno grandi, niente di più. In un canto però si scorgevano degli enormi vasi di terra ripieni di pombè, forte birra, alla quale i palati europei non possono resistere, ma che i negri, e Pembo specialmente, bevevano con avidità.

Il secondo sturò le bottiglie, e la discussione fu subito intavolata. Pembo parlava un portoghese assai cattivo, tuttavia abbastanza comprensibile per il capitano e per il secondo.

— Pembo, — disse il capitano dopo aver vuotato un bicchiere di acquavite, — quanti schiavi ti fruttarono le guerre di quest’anno?

Il negro scosse il capo, socchiuse gli occhi, poi, facendo una smorfia di malcontento, disse:

— Assai pochi, capitano.

— Ci occorrono circa cinquecento uomini.

— Non ne ho che duecentocinquanta, — rispose il negro, e si mise frettolosamente alle labbra la bottiglia ancora piena di ardente liquore, trangugiandone più di mezza.

— Maledetto ubriacone! Cosa fare di così pochi schiavi? — disse il secondo in inglese.

— Accettiamoli. Andremo a compiere il nostro carico al Capo. Gli ottentotti ed i grandi namachesi valgono quanto quelli della Coanza — disse Solilach.

— E perchè così pochi schiavi in quest’anno? — domandò il secondo a Pembo.

— Ho abbandonata la guerra per la caccia, — rispose il negro.

— Noi siamo malcontenti, tanto più che i negri quest’anno sono in ribasso, il trasporto più difficile ed i pericoli molti.

— Oh! È proprio vero? — domandò l’ubriacone con voce piagnucolosa.

— Verissimo, — confermò Solilach. — Andiamo a vedere questi schiavi.

Il negro si levò barcollando, non dimenticandosi però di portare con sè una bottiglia ancora piena. Tutti e tre uscirono dal tembè, e si diressero verso una vasta capanna, chiusa con cura e guardata da una mezza dozzina di negri armati di lunghe zagaglie e di azze.