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un battello abbandonato 89


quinta affatto vuota, un barilotto contenente pochi litri di wisky, un altro con alcune libbre di carne secca e pochi biscotti, un sacchetto di pemmicam, dieci o dodici chilogrammi di carbon fossile, un fucile a due colpi ancora carico, due vecchie pistole pure cariche, una navaja, due picconi, una scure, due bussole rotte e una lampada di sicurezza colla rete metallica schiacciata. Nessuna carta e nessun nome su quegli oggetti.

L’ingegnere esaminò la macchina e scoprì un nome inciso su una laminetta di acciaio.

«W. J. Hansom-Boston» lesse.

— Chi è questo Hansom? mormorò. Sono bostoniani forse gli uomini che ci precedono? Che non riesca io a spiegare il mistero?

Cercò dappertutto sperando di trovare qualche altro nome, ma senza risultato.

— Avete scoperto nulla? chiese Morgan.

— Non so altro che la macchina fu costruita a Boston, rispose sir John. Continuiamo l’esplorazione.

Si aggrappò alla fune e risalì la sponda rimettendosi subito in cammino col macchinista.

Percorsi sette od ottocento passi tornarono ad arrestarsi. Dinanzi ad essi si ergeva una roccia enorme da una spaccatura della quale usciva impetuosamente e con un sordo muggito, un grosso getto d’acqua. Era la sorgente del fiume.

L’ingegnere osservò il documento e piegò a sinistra inoltrandosi in una galleria molto stretta e non più alta di tre metri. Ben presto giunse dinanzi ad una negra apertura che scendeva quasi verticalmente nelle viscere della terra. Al di là di quel pozzo non c’era alcun passaggio.

— È per di qui che dobbiamo scendere, disse a Morgan. Ritorniamo a prendere i compagni.