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76 | capitolo xxii. |
— E che sia tutta così rovinata la galleria? chiese O’Connor.
— La scossa è stata assai forte, disse sir John. Troveremo le tracce della convulsione terrestre per un due o trecento leghe almeno.
— Che sia stata sentita anche alla superficie della terra, la scossa?
— Certamente, Burthon. Non siamo che a duemilaseicento piedi di profondità.
— Avrà cagionato dei danni ragguardevoli.
— Forse a quest’ora migliaia di persone giaciono sotto le rovine di qualche città distrutta.
— Migliaia di persone? Mi sembrano troppe, signore.
— Mi pare, Burthon, che tu creda poco alla violenza dei terremoti. Che diresti se io ti dicessi che nell’anno 525 il terremoto seppellì ad Antiochia nientemeno che 250,000 persone?
— Duecentocinquantamila persone!...
— E che diresti se io ti dicessi che il terremoto di Lisbona, nel 1755, uccise in soli sei minuti 60,000 persone? E che nel 1783 nelle Calabrie seppellì più di 40,000 individui?
— Ma così formidabile è adunque il terremoto?
— Nessuna cosa resiste a simili convulsioni del suolo. Nè le città, nè i monti, nè gli oceani.
— Come? Nemmeno gli oceani?
— Anche gli oceani vengono scossi in modo terribile dal terremoto. Nel 1746 l’oceano Pacifico due volte si ritirò e due volte si gettò con irresistibile furia contro le coste del Perù distruggendo interamente Lima, Callao, Cavalla, Guanapa e altri due porti. Delle ventitrè navi che si trovavano ancorate a Callao, dicianove affondavano e le quattro altre, perdute le áncore, veni-