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26 | capitolo xvi. |
che non sono capaci di spegnerla. E una ce n’è pure in Inghilterra, nei dintorni di Dudley, la quale tramanda un calore così dolce che sopra vi crescono alberi tropicali e vi si fanno due e perfino tre raccolti all’anno.
— Ma chi le accese?
— È impossibile saperlo. Forse si sono accese da sè.
— Ma in qual modo? Io non ho mai visto del carbon fossile accendersi senza darvi fuoco.
— Quando si lasciano dei carboni minuti in un’aria umida e calda non tardano a fermentare e quindi si accendono. È vero Morgan?
— Verissimo, rispose il macchinista.
— Ma queste miniere che abbruciano non si possono spegnere? chiese O’Connor.
— Qualche volta sì e varii sono i mezzi. Per lo più si proietta sul carbone acceso dell’acido carbonico ottenuto colla combustione di una massa di coke. La fiamma ricevendo dell’aria priva dell’elemento comburente si spegne da sè. Si adopera pure, e molto spesso, il vapore acqueo che agisce come un gas inerte. Se nè il primo nè il secondo mezzo riescono, allora si ottura la galleria incendiata con un muro d’argilla sicchè venendo meno l’aria il fuoco finisce collo spegnersi.
Ma non di rado avviene che questi incendi, malgrado il muro d’argilla brucino per anni e anni ricevendo l’aria da piccole fessure che sfuggono agli occhi degli ingegneri.
— Che siano stati i chinesi a incendiare questa miniera? chiese Burthon.
— Quali chinesi? chiese sir John.
— Quelli che seppellirono quell’individuo che trovammo mummificato.
— Potrebbe essere. Si sa che i primi a cono-