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le torture della sete 97


Il terzo giorno sir John, inquietissimo, fece arrestare più volte il battello per tentare di scalare le rupi, ma senza frutto. Più volte egli si chiese se fosse meglio ritornare indietro, ma s’accorse, con suo grande terrore, che il carbone era scemato in modo spaventevole. Due grandi pericoli adunque li minacciavano: la mancanza d’acqua e la mancanza di carbone! C’era da rabbrividire.

Al mezzodì del quarto giorno, a bordo dell’Huascar non rimaneva che un litro d’acqua.

Alle due del meriggio, dopo una lunga esitazione, quei disgraziati, che si sentivano la gola e la lingua disseccata, vuotavano una parte di quell’acqua. Alle quattro dello stesso giorno, l’ultima goccia scompariva nelle loro gole arse dal calore che sprigionavasi dal forno scaldato a bianco!

Un cupo silenzio regnò a bordo dell’Huascar dopo che l’ultima goccia fu consumata. Sir John, l’audace ingegnere che affrontava la morte senza commuoversi, Burthon, O’Connor e Morgan, erano tutti costernati.

Quando avrebbero trovato l’acqua? che cosa sarebbe accaduto il domani o il posdomani?

Queste erano le domande che spuntavano sulle labbra di quegli uomini, appena inumidite dall’ultima sorsata e di già aride.

Nessuna penna può descrivere le torture provate da quegli sventurati durante le lunghe dodici ore della notte. Alle otto antimeridiane Burthon non era quasi più capace di parlare.

— Signore, balbettò. Una goccia d’acqua, una sola!

— Non ne abbiamo una sola sorsata, rispose sir Jhon con accento disperato.

— Ma dove siamo noi?