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96 | capitolo xii. |
La giornata trascorse senza incidenti, l’Huascar continuò a salire il fiume con grande rapidità, lasciandosi a poppa una scia luminosa, da credere quasi che del fosforo fosse mescolato a quelle acque.
Le rive non cangiarono mai. Erano sempre altissime e così liscie da rendere impossibile la scalata.
Verso le 8 della sera, O’Connor tentò la salita della sponda destra, che quantunque tagliata a picco e altissima, presentava profonde fessure e alcune sporgenze, ma dopo essersi elevato alcuni metri dovette scendere. Tentò pure la salita della sponda sinistra ma invano.
Sir Jhon e i suoi compagni tennero consiglio. Tutti furono d’opinione di tirare innanzi finchè rimaneva un pezzo di carbone e di rimettere in vigore i quarti di guardia durante le dodici ore della notte.
L’ingegnere e O’Connor s’obbligarono di vegliare nel primo e nel terzo, Morgan e Burthon nel secondo e nell’ultimo.
La notte passò lentamente, ma le pareti conservarono la loro smisurata elevazione e la loro ripidità. Nessun fragore, nessun muggito che indicasse la vicinanza di un torrente o d’una cascata, ruppe il cupo gorgolìo del nero fiume e le rapidissime battute dell’elica.
Il dì seguente ancora nulla. Le due pareti continuavano ad essere quasi sempre eguali, sempre elevate assai, senza una breccia, senza un piccolo seno, senza un fiord. Fu notato solamente che la fiumana correva con maggior furia e che piegava verso il sud-sud-ovest. Un altro litro d’acqua fu consumato e molto carbone scomparve nel forno della macchina, la quale, resa incandescente, faceva soffrire orribilmente i fuochisti.