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CAPITOLO XII.

Le torture della sete.

L’ingegnere non si era ingannato. Un vortice vastissimo, formato dall’incontro di due rapidissimi fiumi, attirava il battello, il quale, rollando, beccheggiando, gemendo, a poco a poco veniva assorbito.

Burthon, O’Connor e Morgan, atterriti, acciecati dalle onde che saltavano a bordo, sballottati dalle disordinate scosse del battello, alla voce dell’ingegnere erano balzati in piedi cercando le lampade. Il macchinista, sentendone una sotto mano, rapidamente l’aprì, strofinò uno zolfanello e l’accese. Uno spettacolo capace di agghiacciare il sangue al più coraggioso uomo della terra, s’offrì tosto ai suoi sguardi.

Dal nord scendeva furiosamente la fiumana che aveva trascinato il battello; dal sud ne scendeva una seconda assai più larga, nera, schiumeggiante; nel mezzo roteava il vortice, immenso, sinistro, rapidissimo, irto di cavalloni e che muggiva in modo orribile.

L’Huascar, abbandonato a sè stesso, vi correva all’ingiro con vertiginosa rapidità e non era più che a sei o sette metri dal centro. Un minuto ancora, forse mezzo, e veniva assorbito, aspirato come un semplice pezzo di legno.